Page 65 - Le canzoni di Re Enzio
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Quanti non rivedranno le sue spose!
            né Carlomagno che tornar non può...

                       AOI



            Lontan lontano, tutto il ciel si muta.
            Tempesta in terra, in alto mar fortuna.

            A mezzodì, come di notte, abbuia.
            Cielo non v’è, se un lampo non l’alluma.

            Tuona con una cupa romba lunga.
            La terra trema, crollano le mura.

            Dice la gente: Secol si consuma!
            la gente dice, eppure non sa nulla.

            Eh! buon Rollando bella gioventù!
                       AOI






                                           V. IL CONTRASTO



            Il re prigione balza in piè d’un lancio.
            La chioma grigia sopra il capo ondeggia

            come ondeggiava al Ponte Sant’Ambrogio
            in mezzo al roseo polverìo di maggio.

            Sorgono insieme i sedici custodi
            quasi tendendo contro lui le branche.

            Un de’ più vecchi, il pro’ Michel degli Orsi,
            dice: «Così gli ardeano gli occhi azzurri

            quand’io lo presi». Al re si volge e dice:
            «Messer lo re, pensate al detto vostro:

            che voi tenete saggio e canosciente,
            quale si sa col tempo comportare».

            Ma Enzio sente rinfrescar la pena
                       che in cor gli abonda, e non sa come.



            Enzio non sa; ma forse vede l’ombre

            di cavalieri biondi che le spade
            alzano lunghe e calano a due mani,

            alla Grandella, al Prato delle rose.
            Ma i lor nemici gridano: «Agli stocchi!




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