Page 63 - Le canzoni di Re Enzio
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e il nome dà: Mongioia cavalieri.
Egli la lunga cantilena ascolta,
il re prigione, e vede Roncisvalle,
e vede anco Ulivieri il savio:
Dice Ulivieri: «Io non vuo’ dir parola.
Lasciate il corno pendere alla soga:
non verrà Carlo il magno a questa volta.
Dunque, baroni, fate vostra possa,
e cavalcate avanti voi di forza...»
Un grido s’alza intorno a lui: Mongioia!
AOI
IV. LA MISCHIA
«Tempo vene chi sale e chi discende»:
dice il re delle Torri e di Gallura:
«non più Mongioia è il grido dell’impero».
E dice a lui Rollando de Marano:
«Mongioia è il monte, donde Carlomagno
udì sonare le campane a festa
di Roma santa, udille sonar sole,
sull’alba, a gloria dell’antico impero».
Enzio re siede, e reggesi la fronte
piena di rughe sulla bianca mano.
È quella mano usa alla mazza d’arme,
usa alla spada ch’elmi e bacinelli
fendeva: ora non più, da sedici anni.
Non più tutta oro la capellatura
lunga fluisce. Oh! come al fresco vento
si svincolava al modo d’una fiamma,
sulla galea, nel mar della Meloria!
Come, in cospetto dell’imperatore,
guidava i cavalieri a Cortenuova
contro il Carroccio di Milano!
Siede re Enzio con la fronte in mano.
G. Pascoli - Le canzoni di Re Enzio 59