Page 59 - Le canzoni di Re Enzio
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Scende Ulivieri, e conta ai Franchi tutto.
«Più grande sforzo mai non fu veduto.
Son mille e mille, e hanno osbergo e scudo;
hanno allacciato al capo l’elmo bruno;
dritte le lancie, i verrettoni in pugno.
In campo state e Dio vi dia virtù!»
Dicono i Franchi: «Abbia chi fugge, lutto.
A morir qui non mancherà nessuno».
AOI
II. IL CONSIGLIO
Ode re Enzio; ascolta come in sogno,
perché il suo cuore è in Capitana e Puglia.
Un de’ custodi, Min de’ Prendiparti,
dice: «Mal prenda a questi giuculari
ch’hanno per sue le piazze del Comune,
per ricantar le vecchie fole al volgo!
Già da gran tempo Carlomagno è morto».
E Scannabecco: «È morto sì, ma siede,
l’imperatore dalla barba bianca,
nella sua tomba, e con la destra impugna
la spada posta sopra le ginocchia».
Enzio re pensa: «O bel sire fratello!
Biondo e gentil Rollando di Soave!
Forse vedete ora apparir sui monti
non Valdabrun, ma i cavalier di Francia,
Proenza Fiandra Piccardia Brabante
coi santi gigli e con la croce!»
Manfredi in vero scorge allor sui monti
oltre il Calore l’oste del re Carlo.
Il nato dallo imperator di Roma
ha suo consiglio. Parlano i suoi pari.
Qual è canuto, qual è tutto fulvo,
armato ognuno, ed il lor nome è Lancia.
Dice Calvagno: «Un giorno o due s’attenda:
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