Page 18 - Le canzoni di Re Enzio
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Le Martinelle sonavano a gloria.
E il doppio a festa si faceva immenso
e percotea nell’avvenir profondo.
Misto era a scrosci, a voci, a urla, a rombi.
Forse tonava sopra la Redorta.
Era d’aprile. Il figlio della lupa
quel mese arò con la giovenca e il toro.
Era d’aprile. Dalle tue macerie
nascean, Milano, l’erbe ancora e i fiori.
Vi aveva arato l’arator selvaggio:
dal solco fondo germinò l’Italia.
E fu l’Italia giovinetta, eterna,
su te, con te, Carroccio di Milano,
quel fin di maggio! Già sfiorian le rose.
Andava lento in val d’Olona il plaustro.
Il distruttore di città lo scorse:
gli si avventò coi cavalier di ferro,
ruppe le schiere, i sacri bovi attinse,
l’azza scagliò contro la sacra antenna.
Allor su lui con novecento spade,
splendide al sole, si gettò la Morte.
E quella sera il carro del convento,
il santo carro di Pontida, attese.
Reddiano stanchi i falciatori a vespro,
rossi di sangue, e rosso era di sangue
il carro, e i bovi, che muggian sommesso.
Ma il canto andava, delle trombe, al cielo.
Rosso era il cielo, che s’empìa di stelle.
Lucean le stelle ai morti. In mezzo, eretto,
si riposava su l’enorme spada
Alberto da Giussano.
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