Page 16 - Le canzoni di Re Enzio
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Le lunghe spade ignude sulle spalle
sono i Lombardi ai lati del Carroccio.
Sembrano usciti allora da un convento,
d’aver giurato sopra l’evangelia;
aver negli occhi fiamme di covoni
e fumigare lento di macerie.
In lor città vedono andar l’aratro:
passa l’aratro e rompe ossa di morti.
Serpeggia il rovo dove fu la Chiesa,
l’edera monta dove fu l’Arengo.
Non hanno più la lor città di pietra:
questa di legno hanno, e ramenghi vanno.
Poservi su quanto è più dolce al mondo,
quanto è più sacro, quanto è suo per sempre.
Poservi il dritto, che vivente e sano
da fiamme e da rovine esce e da mucchi
di morti: il dritto della nuova Italia.
E però stanno ai mozzi delle ruote,
guardia e scorta, con le lunghe spade i
ignude sulle spalle.
VI. IL PRIMO CARROCCIO
Che fu da prima? Il carro del convento,
che usciva ai campi, al tempo delle messi.
Squillava il suono della campanella,
per l’erme vie, con le cicale a gara.
Vennero al trebbio ove sostava il carro,
gli schiavi agresti col formento e l’orzo.
Vi si accoglieano i grami e nudi intorno,
come a sperare; e non sapean che cosa.
Sedeano a lungo, il viso tra le pugna,
quel suono udendo lontanar nel sole.
E poi tornò tra il canto degli uccelli,
un dì di maggio. Era la terra in fiore.
La Martinella risonò nel nome di Dio,
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