Page 15 - Le canzoni di Re Enzio
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L’azza... vi resti, pei beccai per l’arti!
            Ma quel ronciglio abbinlo i boattieri».

            Il popol va, pensano ognuno e tutti:
            «Conti, v’abbiam graffiato dagli scudi

            l’orso e il leon rampante con la rosa,
            e pinti su l’aquile nostre e i pardi.

            Voi cavalcate dietro i gonfaloni
            nostri, Colonna, Grifo, Angelo e Branca.

            Ma voi covate sotto la gaiferia
            astio tra voi, spregio per noi cattivi.

            Tempo verrà che, ricchi noi, daremo
            castella ai gufi e torri alle cornacchie.

            Vi abbiamo preso l’azze e le corazze,
            l’aste e gli scudi. Verrà tempo, e forse

            per l’armi vostre vi darem le nostre:
                       pettini, cardi ed aspi».



            Vedono all’ombra dell’Arengo il carro

            come galea ch’è per uscir dal porto.
            S’alza il nitrito d’un cavallo al cielo.

            Più ferreo tuona il passo de’ pedoni.
            I cavalieri, ognuno oblia sua parte:

            Comazzo parla amico ad Uspinello.
            «Chi pari a lui? Che Berte o Bertazzole!»

            Un marangone, vecchio, delle Schize,
            ricorda i tempi di vent’anni addietro,

            che lo raddusse un angelo a Piumazzo.
            «Egli parava i bovi con un fiore.

            Fu l’anno che i cavalli ghibellini
            bevvero al Reno: e che le manganelle

            furono prese...» Un valvassore aggiunge:
            «Ne restò una, che gittò l’altr’anno

            l’asino...» Un riso corre grandi e plebe.
            «Chi pari a te, Carroccio bianco e rosso?

            Forse il Blancardo? Forse la Buira?
            Quando ella va, con le sue vacche, intorno

                       gridando: Chi to’ latte? «






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