Page 17 - Le canzoni di Re Enzio
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che fece il servo e il valvassore.
            Sonava a stormo, e i servi della gleba

            corsero con le falci e con le ronche.
            V’era un altare, dove ardea l’incenso;

            salìa l’incenso e si mutava in nubi.
            V’erano angeli con le lunghe trombe,

            e dalle trombe vento uscì di guerra.



            E poi fiammeggiò rosso nei carrobbi
            della città, chiamando l’Arti all’armi.

            «Le lancie in pugno, o voi che le foggiate!
            Le spade in pugno, o voi che le temprate!

            Voi che le torri a pietra a pietra alzate,
            chi fa, disfà: gettate giù le torri!»

            Venne la plebe antica. Allato al carro
            stava un uscito dall’oblìo dei tempi;

            grande; come ombra al vespro ed all’aurora.



            Parea che avesse i fasci con le scuri.
            E poi tornò sotto il gran cielo il carro

            fulgente d’armi. Avea con sé gli artieri
            e i ferrei conti e i sacerdoti assòrti:

            il Popolo era, intorno al suo Carroccio.
            La città era, che possente, augusta,

            usciva con la Chiesa e con l’Arengo
            e col suo Santo e col suo Dio; con tutto.

            Giunta al nemico, ella dicea col bronzo
            della sua squilla: — È presso te Milano,

            che mutò luogo: al modo delle stelle. —
            E venne tempo, e patria sola il plaustro

            restò. Giaceva la città di pietra.
            E il plaustro parve il Gran Carro di stelle

            che intorno a un punto sempre va nel cielo.
            Ma vennero altri plaustri, altre vaganti

            città tranate dai muggenti bovi,
            altri raminghi popoli. Fu il mese

            d’aprile, il mese che aprono le gemme.
            Di fiori in boccia sorridea l’altare.




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