Page 29 - Canti di Castelvecchio
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Ed il ciocco arse, e fu bevuto il vino
            arzillo, tutto. Io salutai la veglia
            cupo ronzante, e me ne andai: non solo:
            m'accompagnava lo Zi Meo salcigno.
            Era novembre. Già dormiva ognuno,
            sopra le nuove spoglie di granturco.
            Non c'era un lume. Ma brillava il cielo
            d'un infinito riscintillamento.
            E la Terra fuggiva in una corsa
            vertiginosa per la molle strada,
            e rotolava tutta in sé rattratta
            per la puntura dell'eterno assillo.
            E rotolando per fuggir lo strale
            d'acuto fuoco che le ruma in cuore,
            ella esalava per lo spazio freddo
            ansimando il suo grave alito azzurro.
            Così, nel denso fiato della corsa
            ella vedeva l'iridi degli astri
            sguazzare, e nella cava ombra del Cosmo
            ella vedeva brividi da squamme
            verdi di draghi, e svincoli da fruste
            rosse d'aurighi, e lampi dalle freccie
            de' sagittari, e spazzi dalle gemme
            delle corone, e guizzi dalle corde
            delle auree lire; e gli occhi dei leoni
            vigili e i sonnolenti occhi dell'orse.
              Noi scambiavamo rade le ginocchia
            sotto le stelle. Ad ogni nostro passo
            trenta miglia la terra era trascorsa,
            coi duri monti e le maree sonore.
            E seco noi riconduceva al Sole,
            e intorno al Sole essa vedea rotare
            gli altri prigioni, come lei, nel cielo,
            di quella fiamma, che con sé li mena.
            Come le sfingi, fosche atropi ossute,
            l'acri zanzare e l'esili tignuole,
            e qualche spolverìo di moscerini,
            girano intorno una lanterna accesa:
            una lanterna pendula che oscilla
            nella mano d'un bimbo: egli perduta
            la monetina in una landa immensa,
            la cerca invano per la via che fece
            e rifà ora singhiozzando al buio:
            e nessun ode e vede lui, ch'è ombra,
            ma vede e svede un lume che cammina,
            né par che vada, e sempre con lui vanno,
            gravi ronzando intorno a lui, le sfingi:
            lontan lontano son per tutto il cielo
            altri lumi che stanno, ombre che vanno,


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