Page 33 - Canti di Castelvecchio
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né un appartato gocciolìo di stille;
              non fiumi più, di tanti milioni
            d'esseri, un fiato; non rimanga un moto,
            delle infinite costellazioni!
              Un sepolcreto in cui da sé remoto
            dorma il gran Tutto, e dalle larghe porte
            non entri un sogno ad aleggiar nel vuoto
              sonno di ciò che fu! - Questa è la morte! -

              Questa, la morte! questa sol, la tomba...
            se già l'ignoto Spirito non piova
            con un gran tuono, con una gran romba;
              e forse le macerie anco sommuova,
            e batta a Vega Aldebaran che forse
            dian, le due selci, la scintilla nuova;
              e prenda in mano, e getti alle lor corse,
            sotto una nuova lampada polare,
            altri Cigni, altri Aurighi, altre Grand'Orse;
              e li getti a cozzare, a naufragare,
            a seminare dei rottami sparsi
            del lor naufragio il loro etereo mare;
              e li getti a impietrarsi a consumarsi,
            fermi i lunghi millenni de' millenni
            nell'impietrarsi, ed in un attimo arsi;
              all'infinito lor volo li impenni,
            anzi no, li abbandoni all'infinita
            loro caduta: a rimorir perenni:
              alla vita alla vita, anzi: alla vita!
              Io mi rivolgo al segno del Leone
            dond'arde il fuoco in che si muta un astro,
            alle Pleiadi, ai Carri, alle Corone,
            indifferenti al tacito disastro;
              ai tanti Soli, ai Soli bianchi, ai rossi
            Soli, lucenti appena come crune,
            ai lor pianeti, ignoti a noi, ma scossi
            dalla misteriosa ansia comune;
              a voi, a voi, girovaghe Comete
            che sapete le vie del ciel profondo;
            o Nebulose oscure, a voi che siete
            granai del cielo, ogni cui grano è un mondo:
              di là di voi, di là del firmamento,
            di là del più lontano ultimo Sole;
            io grido il lungo fievole lamento
            d'un fanciulletto che non può, non vuole
              dormire! di questa anima fanciulla
            che non ci vuole, non ci sa morire!
            che chiuder gli occhi, e non veder più nulla,
            vuole sotto il chiaror dell'avvenire!
              morire, sì; ma che si viva ancora
            intorno al suo gran sonno, al suo profondo


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