Page 28 - Canti di Castelvecchio
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e infine con la bocca aprono il guscio,
            come a dire, le fasce; e il figliolino
            n'esce, che va da sé, ma gronchio gronchio”.
              Così parlando, essi bevean l'arzillo
            vino, dell'anno. E mille madri in fuga
            correan pei muschi della scorza arsita,
            coi figli, e c'era d'ogni intorno il fuoco;
            e il fuoco le sorbiva con un breve
            crepito, né quel crepito giungeva
            al nostro udito, più che l'erme vette
            d'Appennino e le aguzze Alpi apuane,
            assise in cerchio, con l'aeree grotte
            intronate dal cupo urlo del vento,
            odano lo stridor d'un focherello
            ch'arde laggiù laggiù forse un villaggio
            con le sue selve; un punto, un punto rosso
            or sì or no. Né pur vedea la gente
            là, che moriva, i mostri dalla ferrea
            voce e le gigantesse filatrici:
            i mostri che reggean concavi laghi
            di sangue ardente, mentre le compagne
            con moto eterno, tra un fischiar di nembi,
            mordean le bigie nuvole del cielo.
            Ma non vedeva il popolo morente
            gli dei seduti intorno alla sua morte,
            fatti di lunga oscurità: vedeva,
            forse in cima all'immensa ombra del nulla,
            su, su, su, donde rimbombava il tuono
            della lor voce, nelle occhiute fronti,
            da un'aurora notturna illuminate,
            guizzare i lampi e scintillar le stelle.
              E lo Zi Meo parlò. Disse: “Formiche!
            L'altr'anno seminai l'erba lupina.
            Venne la pioggia: non ne nacque un filo.
            Vennero i soli: il campo parea sodo.
            Un giorno che v'andai, vidi sul ciglio
            del poggio un mucchiarello alto di chicchi.
            Guardai per tutto. Ad ogni poco c'era
            un mucchiarello. Erano i semi, i semi
            d'erba lupina. Avean rumato poco?
            Non un chicco, ch'è un chicco, era rimasto!
            Aveano fatto, le formiche, appietto!
            E ben sì che v'avevo anco passato
            l'erpice a molti denti, e su la staggia,
            per tutte bene pianeggiar le porche,
            mi facev'ir di qua di là, come uno
            fa, nel passaggio, in mezzo all'Oceàno”.


            17. Il ciocco, Canto Secondo


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