Page 24 - Canti di Castelvecchio
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le magre manze mangiano, e via via,
soffiando nella bassa greppia vuota,
alzano il muso, e dalla rastrelliera
tirano fuori una boccata d'erba;
d'erba lupina co' suoi fiori rossi,
nel maggio indafarito, ma nel verno,
d'arida paglia e tenero guaime;
così dalla mannella, ogni momento,
nuova tiglia guidata era nel fuso.
Io dissi: “Brucia la capanna a gente!”
E i vegliatori, col bicchiere in mano,
tutti volsero gli occhi alla finestra,
quasi a vedere il lustro della vampa,
ad ascoltare il martellare a fuoco,
ton ton ton, nella notte insonnolita.
Non c'era nella notte altro splendore
che di lontane costellazioni,
e non c'era altro suono di campana,
se non della campana delle nove,
che da Barga ripete al campagnolo:
- Dormi, che ti fa bono! bono! bono! -
Non capparone ardeva per le selve,
zeppo di fronde aspre dal tramontano;
non meta di vincigli di castagno,
fatti d'agosto per serbarli al verno;
non metato soletto in cui seccasse
a un fuoco dolce il dolce pan di legno:
sopra le cannaiole le castagne
cricchiano, e il rosso fuoco arde nel buio.
Al buio il rio mandava un gorgoglìo,
come s'uno ci fosse a succhiar l'acqua.
Tutto era pace: sotto ogni catasta
sornacchiava il suo ghiro rattrappito.
In cima al colle un nero metatello
fumava appena in mezzo alla Grand'Orsa.
Che bruciava?... La quercia, assai vissuta,
fu scalzata da molte opre, e fu svelta
e giacque morta. Ma la secca scorza,
all'acqua e al sole rifiorì di muschi;
e un'altra vita brulicò nel legno
che intarmoliva: un popolo infinito
che ben sapeva l'ordine e la legge,
v'impresse i solchi di città ben fatte.
E chi faceva nuove case ai nuovi,
e chi per tempo rimettea la roba,
e chi dentro allevava i dolci figli,
e chi portava i cari morti fuori.
Quando s'udì l'ingorda sega un giorno
rodere rauca torno torno il tronco;
e il secco colpo rimbombò del mazzo
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