Page 26 - Canti di Castelvecchio
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come il nero magnano, quando passa
            con quello scampanìo sopra il miccetto;
            ossia concino, o fradicio ombrellaio,
            voce del verno, la qual morde il cuore
            a chi non fece le rimesse a tempo.
            Né leo leo vanno, come loro.
            Piglian le gambe e stradano, la vita,
            come noi, strinta dal grembial di cuoio”.
              E disse il Topo, portatore in collo,
            primo, fuor che del Nero; sì, ma questi
            porta più poco, e brontola incaschito:
            - Carico piccolo è che scenta il bosco -:
            “Vogliono dire ch'han la tiglia soda
            più che nimo altri che di mattinata
            porti in monte il cavestro e la bardella.
            E hanno l'arte, perché intorno al peso
            girano ora all'avanti ora all'indietro
            or dalle parti, per entrarci sotto.
            Se lo possono, via, telano; quando
            non lo possono, vanno per aiuto;
            e su e su, per una carraiuola:
            come una nera fila di muletti
            di solitari carbonai, su l'Alpe,
            che in quel silenzio semina i tintinni
            de' suoi sonagli. Alcuno ecco s'espone,
            come anco noi, per ragionar con altri
            che scende, e frescheggiare allo sciurino”.
              E disse il Menno, vangatore a fondo,
            a cui la terra, nell'aprir d'aprile,
            rotta e domata ai piedi ansa e rifiata:
            e' la sogguarda curvo su l'astile:
            “Ho inteso dire ch'hanno i suoi poderi,
            come noi. Sotto le città ben fatte
            coltano un campo sodo: che bel bello
            si fa lo scasso, e qua si tira dentro,
            là si leva la terra, e si tramuta
            con le pale o valletti e cestinelle.
            La pareggiano, seminano. Nasce
            un'erba. Ed ecco poi vanno a pulirla,
            levano il loglio, scerbano i vecciuli,
            e scentano la sciàmina, cattiva,
            e la gramigna, che riè cattiva,
            e i paternostri, ch'è peggior di tutte.
            A suo tempo si sega, lega, ammeta,
            scuote, ventola, spula. Eccolo bello
            nel bel soppiano dai due godi il grano”.
              E disse il Bosco, buon pastor di monte,
            ch'era ad albergo: egli da Pratuscello
            mena il branco alla Pieve, a quei guamacci:
            per là dicon guamacci: è il terzo fieno:


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