Page 25 - Canti di Castelvecchio
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calato da un ansante ululo d'uomo.
            E il tronco sodo ora sputava fuori
            la zeppola d'acciaio con uno sprillo,
            or la pigliava, e si sentiva allora
            crepare il legno frangolo, e stioccare
            le stiglie, or dalla gran forza strappate,
            ora recise dalla liscia accetta:
            lucida accetta che alzata a due mani
            spaccava i ciocchi e ne facea le schiampe.
            Le schiampe alcuno accatastò; poi altri
            se le portò nella legnaia opaca.
              Del popolo infinito era una gente
            rimasta in un dei ciocchi. Ebbe l'accetta
            molte case distrutte, ebbe d'un colpo
            il mazzo molte sue tribù schicciate.
            Ma i sorvissuti non sapean già nulla:
            ché volgendo i lor mille anni in un anno,
            chi schivò l'ascia, chi campò dal mazzo,
            l'ago sentì, che, dopo un po' che cuce,
            il Tempo, uggito, punta nel lavoro,
            e se ne va. Nessuno ora sapeva
            che il mondo loro fu congiunto al tutto
            della gran quercia sotto un cielo azzurro.
            Sapeva ognuno che non c'era altr'aria
            che quell'odor di mucido, altro suono
            che il grave gracilar delle galline
            e il sottile stridìo dei pipistrelli:
            dei pipistrelli che pendeano a pigne
            dai cantoni, nel giorno, quando il sole
            facea passare i fili suoi tra i licci
            d'una tela che ordiva un vecchio ragno.
            Così passava la lor cauta vita
            nell'odoroso tarmolo del ciocco:
            e chi faceva nuove case ai nuovi,
            e chi per tempo rimettea la roba,
            e chi dentro allevava i dolci figli,
            e chi portava i cari morti fuori.
              E videro l'incendio ora e la fine
            i vegliatori: disse ognun la sua.
               E disse il Biondo, domator del ferro,
            cui la verde Corsonna ama, e gli scende
            cantando per le selve allo stendino,
            e per lui picchia non veduta il maglio:
            “Vogliono dire ch'hanno tutti i ferri,
            quanti con sé porta il bottaio, allora
            ch'è preso a opra avanti la vendemmia:
            l'aspro saracco, l'avido succhiello,
            e tenaglie che azzeccano, e rugnare
            di scabra raspa e scivolar di pialla.
            Ché non hanno bottega: a giro vanno


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