Page 168 - Carmina - Poesie latine
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barcollanti incedean degli elefanti.
            Alle sue spalle, un fragor grande, crolli,
            fuga, tumulto, e scrosci di foreste
            schiantate e grosso crepitar di fiamme.                  205
            Era un serpente enorme che con torve
            spire seguiva, e i culti campi larga-
            mente prostrava e sradicava i boschi
            e con la coda distruggea le intere
            città; che tutto con la bocca ardente                    210
            dava alle fiamme, insieme, ed alla morte.
            Era la vïolenta idra straniera,
            la sventura d'Italia, che d'allora
            avrebbe osato rompere i confini
            sacri in eterno, e sulla devastata                       215
            terra l'immane corpo arrotolare
            e covar sopra ceneri di messi
            e sopra roghi di città distrutte.
            Allora in prima il mal serpente infranse,
            per farsi via, le rupi ond'è costrutto,                  220
            insino al cielo, il Termine d'Italia;
            Termine immenso che da mare a mare,
            col fondamento nel lor fondo, incurva
            sé stesso e sembra a Dio caduto un arco.
            Allora in prima con le spade in mano                     225
            guizzanti, voi sbalzaste su, Taurini,
            e sulla soglia della patria terra
            gettaste il sangue, sin d'allor col sangue
            segnando il patto con il vostro fato.
              Ma voi vedeste chi, le italiche Alpi,                  230
            da questa Italia le ascendea Romano;
            ma voi vedeste poi le italiche armi
            oltre i confini propagar la pace
            del giusto Lazio. In mezzo a voi, Taurini,
            come nel marmo in cui la vita scorra,                    235
            Cesare apparve. Nel paludamento
            imperïale ei conducea l'Alauda
            fulva le chiome: intorno a lui le scuri
            nei fasci, e i pili della sua coorte.
            Oppur liete parole egli intrecciava                      240
            coi fidi amici, o nella molle cera
            solchi imprimea col vomere, gittando
            in quella il seme del suo gran pensiero.
            Ora i fasti romani, ora le guerre
            per terra e mare, e il mondo vinto, e, in mezzo          245
            ai suoi trionfi e alla sua pace, Roma;
            or meditava arguti versi e dolci
            esili carmi, e si beava il cuore.
            Qui mentre un dí cadea la neve a fiocchi,
            dicono, entrò nella capanna trista                       250
            d'un re selvaggio. Largo il re, di latte
            giovò gl'ignoti, e loro appose i frusti

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