Page 164 - Carmina - Poesie latine
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Fuggíano, andando, le paludi oscure
tinte d'un lividore di tramonti;
fuggían le macchie vergini di scure
e il fuoco acceso notte e di sui monti.
Sospesi, se temere, se sperare, 40
tendean l'orecchio ad altri gridi umani;
ma non s'udiva che scrosciare il mare
e rintronare lava di vulcani.
Emergeano cavalli-d'-acqua a torme,
spruzzando pioggia dalle froge grosse. 45
Volgeano i piccoli occhi e il muso enorme,
chiedendo a sé, quella tribú, che fosse.
Fendeva i boschi un calpestio selvaggio
ed un fragor di grandi alberi infranti.
Pareva un cieco nembo; era il passaggio, 50
là, di rinoceronti e d'elefanti.
E quando a notte era sparita, avvolta
d'aride foglie la raminga gente,
a prender sonno, tutta notte in volta
andava l'ombra del leon ruggente. 55
Ma sempre tu, senza guardarti attorno,
guidavi, o Toro, i tuoi Taurini erranti,
allor che i piè, sempre piú lenti, un giorno
fermasti. T'era una palude avanti:
una palude gialla che tra l'ulva 60
lasciava sette cime già scoperte
di colli. La rapace aquila fulva
gridava all'acqua che stagnava inerte.
Ma nubi nere e sfavillío di lava
uscian di notte dalle vette nude 65
dei monti, intorno, e sempre sussultava
la terra e balenava la palude.
Era lontana l'augurale aurora,
che s'aspettava. E tu, col tuo profondo
muglio, colei ch'era nascosta ancora 70
dall'acqua ed alga, la chiamavi al mondo.
Dopo gran tempo era per balzar fuori
Roma, nei dí che da te spunta il sole,
Toro che spargi sulla terra i fiori
e in ciel t'impenni tra le stelle sole. 75
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