Page 151 - Carmina - Poesie latine
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come allorquando si lasciava a mezzo
            solco l'aratro e s'assumeano i fasci.
            Rinnova l'arte antica, cingi al capo
            l'antico serto e fa che mai non cada
            l'inno di gloria che beò l'Italia.                       555
            Sian, per i colli, glauchi olivi e verdi
            viti, e di spighe rigogliose ondeggi
            la valle immensa. E fiacchino la forza
            del vento e il nembo struggitor le selve
            veglianti a guardia sul cigliar dei monti.               560

              Il Rubicone, ecco, già bianchi ammira
            enormi tori. Egli che vede andare
            per la campagna tante paia e vede
            da dieci bovi tratto un solo aratro,
            egli che già non obliò nel sonno                         565
            le bronzee file della forte Alauda,
            pensa all'imperio, a Cesare, ai trionfi.
            Noi non l'imperio, non i cortei lunghi
            di quei trionfi a te chiediamo. Un'Ara
            abbiamo, e noi, di Pace, eretta, o Flora.                570
            I fiori dà color di sangue ogni anno
            (solo nei fiori tu il color di sangue
            lodi e nel casto viso di fanciulle:
            miele, olio, vino, o Flora, ami; non sangue),
            dà le memori foglie dell'acanto                          575
            per adornar quest'ara. Alto nel mezzo
            noi collocammo in una vampa d'oro
            chi la portò, questa concordia augusta.
            E quanti ancora col lor sangue, eccelsi
            spiriti, questa pace e questa patria                     580
            fecero a noi, là stanno. E sono, o Flora,
            la messe tua che cade sí, ma sempre
            nuova nei lunghi secoli germoglia.

              IL PRIMO COLLE E I PRIMI PASTORI

              Certo è che vive in questa terra occulto
            qualche portento, e sí, nel monte, dove                  585
            Roma quadrata germinò dal solco.
            Pastori un tempo (luce ed ombra incerte
            vi si spargean sotto la falce d'oro)
            erano là coi rastri. Era la gloria
            vanita già di Roma, era d'Apollo                         590
            sparito il tempio. Tutto il sacro colle
            tenean le infrante vecchie pietre ingombro.
            Cespi d'acanto, nuove polle uscenti
            da qualche ceppa d'albero che appena
            sapea sé stesso s'opponeano al piede.                    595
            Giacean rottami candidi di marmo
            tra i rovi e i pruni, e sorrideano al suolo


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