Page 146 - Carmina - Poesie latine
P. 146

E monti e valli e fiumi e selve al passo                 315
            fremean sonanti sotto il piè di Roma,
            della Immortale sempre piú lontana.
            E mille passi delle sue legioni
            fulgureggianti di metallo al sole,
            ella chiudeva in uno dei suoi passi.                     320
            Ed una pietra ne segnava l'orma
            tutte le volte, e i popoli, a quell'orme
            cosi distanti, abbrividian nel cuore.

                      I DUE IMPERATORI

              Oh! ben temeano i popoli le scuri.
            Ché per il mondo si vedea passare                        325
            un uomo grande piú che l'uomo, un grande
            che dava a tutto, il freno o l'urto, ei solo,
            della sua mano. Egli partía la terra
            con la sua spada e il cielo col suo lituo,
            augure circondato dalle rote                             330
            degli avvoltoi. Lanciava egli all'assalto
            con un suo cenno l'aquile, e le lievi
            turme al galoppo, e l'ululo di morte
            ravvolto nella polvere veloce.
            Eppur mostrava placido alle genti                        335
            placate il volto, e calmo i cavalloni,
            ancora irati dopo la tempesta,
            con quella mano che impugnò la spada,
            calmava, e dal belligero cavallo
            dicea le leggi e l'arti della pace.                      340

              Salve, o possente Roma! Tu le terre
            hai dissodate col tuo duro coltro;
            la macchia hai franta perché desse il grano
            placido. Il grande imperio era il tuo fato.
            Quando a te fu dagli ampi omeri tolta                    345
            la porpora, ecco il re de' sacrifizi
            uscí da templi novi e da miti are.
            E poi levò di terra la corona
            e ne cinse la lunga chioma bionda
            d'un re che avea la fràmea per lancia;                   350
            e poi, volgendo i secoli, battaglia
            mosse, egli re dei riti, al re dell'armi.
            E tempo venne che dall'alto soglio,
            con la corona sulla fronte eretta,
            con nella mano la stellante spada                        355
            (stettero i messi attoniti nell'aula,
            e reprimeano i secoli la corsa
            infrenabile, come visto un cenno
            rapido di far sosta e di dar volta),
            «Che domandate?» addimandò. «Ciò ch'egli,                360
            il vostro re, domanda, è mio. Son io


                                                           146
   141   142   143   144   145   146   147   148   149   150   151