Page 142 - Carmina - Poesie latine
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sempre piú forte, le narici aperte                       135
            a lor bagnando de' suoi salsi spruzzi,
            «Oh! voi che fate una città pastori,»
            diceva «eccovi l'atrio, ecco le porte
            color di cielo, e il limitar che tuona
            sparso di schiuma dalle larghe ondate.                   140
            O cittadini, ecco la via già fatta,
            labile, piana, e ne son pietre i flutti.
            Dall'urbe uscite: avanti voi c'è l'orbe!»
            Allor li prese un vago amor dell'onde
            che sempre vanno a modo de' pastori;                     145
            di sempre andare e pascolare il mondo.

                           LA RISSA

              Pales, o grande e buona Iddia, di latte,
            munto d'allora, ti facean l'offerta.
            Nella città non nata la giovenca
            cimava steli e fiori; a lunghi sorsi                     150
            beveva il toro; ed il tuo colle a un tratto
            suona di grida. Rissano i pastori
            proprio nel solco, un passo dall'aratro,
            che riposava. Gli uni avean lo spiedo
            da caccia, gli altri aveano l'ascia in mano.             155
            Questi già pietre, qua e là, da terra
            traean tagliando e scalpellando; e quelli
            piangean la terra duramente offesa.
            «Non era assai picchiarla con la zappa,
            fenderla poi col vomere! Ecco, l'ossa                    160
            vogliono ancora frangere alla madre!»
            Vennero all'armi, e l'ascia del lavoro
            sentí la morte, e tu nell'aria rosa
            tremavi, o stella d'oro della sera,
            vedendo in cielo nuvole suffuse                          165
            del sangue ch'era sparso in terra.

                           L'ASCIA

                                             Roma
            purificata balzò su dal solco
            rosso di sangue, che alla Terra Madre
            consacrò l'ascia onde l'avea ferita,
            onde l'avrebbe per le genti tutte                        170
            ferita ancora. O ascia, in ogni plaga
            ti dedicò, per questa grande Italia,
            ti seminò, ti sotterrò nel mondo.
            Tu sotto i templi e sotto l'are e sotto
            gli anfiteatri semiruinati                               175
            ti trovi e sotto l'ardue terme, infrante
            presso le nubi. Te nel cor le sponde
            sentirono del Reno e del Danubio,
            t'ebbero le foreste invïolate

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