Page 141 - Carmina - Poesie latine
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antiche stelle! Voi da voi ponete                        90
            tra il mondo e voi pur quella fossa ignava:
            sia senza fine a noi la via, la terra
            senza confine! Lupi, sí; ma ora...
            dateci l'ale, o aquile!»

                         L'ARATORE

                                   Uno arava.
            Egli segnava, sull'aurora, un solco                      95
            quadrato intorno al colle Palatino.
            Sentian le zolle il primo aratro allora.
            E sotto il giogo era una vacca bianca
            e un rosso toro, che di quando in quando
            il rauco fiato si gemean sul collo,                      100
            molto anelando. E la città futura
            stava e mirava, coi vincastri in mano
            e con indosso pelli irte di capre.
            Ma gli altri fieri, a chi piacea l'andare
            col gregge errante, e l'erba che piú bella               105
            rinasce sempre sotto il dente al gregge,
            ridean dei semi che dovean sotterra
            marcire al buio. E gli uni e gli altri torvi
            aveano gli occhi, e l'ansito ondeggiante.
            Stava il fratello, qua, del Capo, anch'esso,             110
            con lui, lattonzo della lupa; ed ora
            schifiva, lui villano, egli pastore.
            Taciti i buoi tiravano nel cupo
            tacer di tutti; che fuggiano il grande
            bifolco orrendo ch'era loro a tergo.                     115
            E qui, con l'ale largamente aperte
            al sole, apparve un'aquila, che ferma
            mirava a lungo quel lavoro in terra.
            Poi, fisa sempre, s'affondò nel cielo.

               LE VOCI DEL FIUME E DEL MARE

              Il pazïente aratro col suo coltro,                     120
            allora, piú splendente della spada,
            prendeva a forza, con ferite a fondo,
            la terra; e il Tebro che lambiva il colle
            con l'acque torbe, vie piú alto un suono
            mettea chiamando l'anima dei forti:                      125
            «Oh! voi, che aprite con un rostro adunco
            la terra, omai la prora che toglieste
            alla mia nave, a lei rendete, o figli;
            ed ora in me, con quella ch'è il mio coltro,
            segnate un lungo solco sino al mare,                     130
            sino al gran mare, azzurro e piano; e oltre!
            Bene avverrà!» Cosí diceva il Tebro
            con l'incessante murmure; ma il vento
            di primavera dal lontano lido,

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