Page 147 - Carmina - Poesie latine
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il Cesare, son io l'Imperatore!
            Andate!» E il re sacrífico si prese
            i fasci albani; e l'ara vide al lume
            dei sacri ceri scintillar le scuri.                      365

                           GLI DEI

              Fu la tua parte. Era il tuo fato, o Roma.
            Tu sulla poppa assisa, non volesti
            per nessun vento abbandonar la barra.
            Profughe genti vennero dal mare
            a darti inizio; e i profughi tu sempre                   370
            prendesti a bordo della tua gran nave.
            Tu sei, d'antico, un santo limitare
            d'asilo ai popoli esuli, tu sacra
            fossa cavata, in cui le genti i semi
            posero, e zolle della patria, e cose                     375
            sacre, e le lor memorie ed i lor Mani.
            Fosti l'altare per gl'iddii fuggiaschi;
            pur solo ad uno implacida, ad un solo,
            povero, un dio sí umilmente dio!
            Altri alla luce aperta gli stranieri                     380
            numi adorando, i lore pingui altari
            facean vermigli di taurino sangue;
            altri in cortei, per la città, solenni,
            batteano i cupi timpani e le strade
            tutte accendean di queruli ululati.                      385
            Ma quelli per le volte e per le ambagi
            d'un nero sotterraneo laberinto
            seguivano una fiaccola, e con voce
            segreta, là, benedicean cantando,
            ignoti a tutti, il loro ignoto Dio.                      390
            Per tempio avean, per i lucenti altari
            di Roma, alcun muffito sepolcreto,
            e la lor vita era coi lor sepolti.
            Avanti l'arche, fiale rugginose
            di sangue, e lumi dall'esigua fiamma.                    395
            Dicea quel lume che la vita scorsa
            era col sangue, sí, ma invano. Il morto
            dormiva. E il sonno era leggero e breve.
            Una colomba col suo roseo becco
            svellea da un canto un ramicel d'ulivo,                  400
            e si levava, con la frasca, a volo.
            Ed un pastore s'era messo in collo
            l'agnello stanco, e andava con la verga
            sua pastorale e col secchiello in mano.
            C'era la croce, e dubbio era, se croce                   405
            fosse od àncora. Sbalzata dal vento,
            percossa dalla folgore, la nave
            era al sicuro, alfine in pace: aveva
              gettata l'àncora nel cielo.

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