Page 81 - La passione di Artemisia
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Mi condusse in uno studiolo al pianterreno. La stanza era piena di cesti
colmi di lettere posati su delle panche e alla parete era appeso un ritratto.
Sul volto ritrovavo quello stesso solco ombreggiato che dal lato delle narici
si allungava verso la punta dei baffi, la stessa piega nelle rughe della fronte,
le stesse tre rughe che si aprivano a ventaglio agli angoli degli occhi, lo
stesso sguardo dolcemente penetrante dell'uomo che mi stava accanto.
«Che grande responsabilità dev'essere verso il mondo avere questa
somiglianza. L'avete conosciuto?»
«Era vecchio e io un bambino. Una volta mi disse: "Lavora,
Michelangelo, e non sprecare tempo"».
«Ottimo consiglio anche per me», dissi guardando il ritratto.
Sulla via di casa ero eccitatissima. Avevo visto la prima opera di
Michelangelo, avevo addirittura visto il suo volto, e il suo discendente
aveva voluto che lo onorassi della mia opera. Con una commissione di tale
importanza e con il denaro che mi aveva dato come acconto per il
materiale, stavo vivendo la vita di una vera artista nella più grande città
d'arte del mondo.
Mi fermai nella bottega del nostro speziale, Franco.
Sulle scansie erano allineate bottiglie e vasi sigillati con la cera e al
soffitto erano appese radici ed erbe essiccate.
C'erano vassoi in file ordinate, colmi di cubetti di pigmenti, avvolti nella
carta, con sopra l'impronta colorata del pollice, per identificare il colore
all'interno e pronti per me. Potevo comprare quelli che volevo.
«Buongiorno, signora. Come sta la bambina?» mi chiese Franco.
«Cresce in fretta ed è la gioia della nostra vita».
«E' venuta per comprare dell'altro diapasma?»
«No, sono venuta per comprare dei colori».
Presi alabastro per la pelle e rosso cinabro per illuminare.
Scelsi dello zafferano da ridurre in polvere e dell'argilla ocra da far
seccare e pestare. Aggiunsi una buona quantità di grigio piombo e di biacca
per le nuvole e poi dissi: «Devo dipingere un cielo azzurro intenso».
«Ho del bellissimo azzurro della Magna», disse Franco, leccando i resti
di cibo rimasti tra i denti e il labbro inferiore.
«No, Franco. Questa volta voglio del purissimo blu oltremare».
Mi scrutò da sotto le sopracciglia folte. «Il lapislazzuli vi costerà una
fortuna. Quanto l'oro. E' per Pierantonio?»
«Che importa?»
Esitò, passandosi la lingua sulle labbra.
«Se non ne avete, basta che lo diciate e andrò altrove».
Feci cadere la borsa sul tavolo con una certa forza, in modo che sentisse
le monete.
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