Page 79 - La passione di Artemisia
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pettorali che iniziavano dalle ascelle e le fossette nelle mani. «La tua è una

          linea più sicura», dissi. «E ti è riuscito meglio lo scorcio del piede. Guarda
          qui e qui. Perché a me riesce tanto difficile coglierlo nel modo giusto?»
              Alzò lentamente una spalla, ma non mi diede alcun suggerimento.

               La  mattina  seguente,  Pietro  sistemò  la  sua  tavola  da  disegno  sul
          cavalletto  e  vi  fissò  un  foglio  di  carta.  Quando  arrivò  Vanna,  tra  di  loro
          passò  uno  sguardo  che  mi  mise  all'erta.  Poi  uscì  di  casa  all'improvviso,
          dicendo  che  aveva  delle  faccende  da  sbrigare  altrove.  Pareva  assurdo  che
          sprecasse una simile opportunità.

              Vanna cominciò a svestirsi.
              «Oggi non ce n'è bisogno. Basta che ti tolga le scarpe e sollevi la gonna.
          Siediti qui sul tavolo con i piedi penzoloni».

              «Non vuole che voi dipingiate», disse Vanna.
              «Come lo sai?»
              Si strinse nelle spalle. «Lo capisco e basta».
              «Non sei pagata per capire. Sei pagata per posare».
               Per tutto il giorno non feci che impratichirmi nel disegnare i piedi e le

          gambe  e  svuotai  la  mente  da  ogni  altro  pensiero.  Disegnai  i  piedi  da
          sinistra, da destra, di tre quarti da ciascun lato e di fronte e poi daccapo e
          infine  dipinsi  dei  piccoli  studi.  Alla  fine  fui  soddisfatta  e  per  quel  giorno

          congedai Vanna.
               Poco  dopo  che  se  ne  fu  andata  arrivò  Pietro,  tutto  rosso  e  pieno  di
          energia. Gettò la giubba su una sedia, mi afferrò per la vita e sollevandomi
          mi fece fare una piroetta. «Ho avuto una commissione. Comincio domani».
              «Bene. Per chi?»

              «Per una chiesa a Monte Uliveto». Si versò del vino.
              «Allora non potrai disegnare con la modella. Che lavoro è?»
              «Un affresco».

              «Tu non hai mai fatto affreschi».
              «Quando ero apprendista, sì».
              «Un  soffitto  o  le  pareti?»  Si  sedette  e  io  mi  posi  dietro  di  lui,
          massaggiandogli le spalle dove dovevano dolergli.
              «Parete».

              «Bene. Devi scegliere il soggetto?»
              «No. E...» Ingollò una sorsata di vino e guardò di sottecchi i disegni dei
          miei studi dei piedi. «Devo restaurare degli affreschi».

               Che  vantaggio  ne  avrebbe  potuto  avere?  Dal  modo  in  cui  si  impegnò
          nello spezzare un tozzo di pane e nello studiare i miei disegni, compresi che
          non avrei dovuto dire nulla, ma provavo un lieve disagio.
               Nelle  settimane  successive  non  uscì  mai  di  casa  prima  dell'arrivo  di
          Vanna. Si scambiavano qualche parola e poi prendeva la porta. Forse quel



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