Page 83 - La passione di Artemisia
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ne fosse stato uno, rispettai la sua riservatezza e non chiesi nulla.

              «Non  pensi  mai  che  potresti  diventare  famosa  come  modella  di  un
          dipinto?»
              «Sì. Anche se non conosceranno il mio nome, però mi vedranno appesa

          a una parete o sul soffitto di qualche palazzo, dove per quanto mi riguarda
          non potrei mai entrare a dare nemmeno un'occhiata».
              «E in questo c'è qualche soddisfazione?»
              «Sì che c'è». All'improvviso mi parve sulla difensiva, ma anche eccitata.
          «Forse qualcuno che mi vede lì dipinta potrebbe riconoscermi per strada o

          in una piazza e guardarmi con più attenzione. O magari persino rivolgermi
          la parola. Potrebbe succedere».
              «Sì, immagino di sì. Ci sono anche gli anni futuri».

              «Intendi  dire  quando  entrambe  saremo  morte?»  Raddrizzò  le  spalle,
          facendo  così  sporgere  i  seni.  «Io,  come  sono  ora,  durerò  molto  di  più  di
          qualunque artista mi dipingerà».
               Non c'era molto da rispondere a questo. Non vedeva che la superficie.
          La  parte  che  io  mettevo  di  mio  per  lei  era  incorporea  e  dunque  priva  di

          importanza.
              «Ai tuoi ragazzi piacciono i fichi? Prendine qualcuno per loro». Sul viso
          le si dipinse un'espressione d'orgoglio.

              «Ti  prego»,  insistetti.  «Ne  abbiamo  più  di  quanti  ce  ne  servano
          sull'albero in cortile».
              «Li  lascerà  trasecolati  per  il  suo  realismo,  sapete?»  disse  Buonarroti
          osservando il dipinto finito, posato su un cavalletto nel suo salone.
              «Una donna nuda seduta su una nuvola possiede del realismo?»

               Rise. «Una donna. Una donna vera, rosea, di carne e d'ossa. E di fattura
          squisita».
              «Sono sicura che sarà felice di sapere che pensate questo di lei».

              «L'Accademia,  Bandinelli,  il  granduca  Cosimo,  tutti  la  vedranno  e  ne
          diranno  meraviglie»,  disse,  contando  sulla  sua  scrivania  trentaquattro
          fiorini d'oro, mettendoli in una borsa di velluto marrone e porgendomela.
          Sorrise. «Volete sapere quale parte di lei mi piace di più?»
              I suoi seni? I suoi fianchi? Non sapevo. «Il suo viso», dissi.

              «No.  Quell'avambraccio  tornito,  con  quell'irresistibile  rotondità  del
          gomito.  Siete  un  altro  Rubens.  E  io  sono  la  prima  persona  a  Firenze  a
          riconoscerlo».

              «Ve ne sarò eternamente grata».
               Volgendomi  la  schiena,  si  mise  a  rovistare  tra  fogli  e  cartelle  nel
          cassetto di un tavolo e ne trasse fuori un pennello grosso quanto il mio dito
          indice. La lunga impugnatura era di noce oliato, con la ferula di ottone e i
          peli di zibellino.



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