Page 84 - La passione di Artemisia
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Me lo porse. «Ecco. Non perdetelo. E' appartenuto al mio prozio».
«A Michelangelo?»
Si piegò verso di me in modo divertito e paterno, dondolando la testa
avanti e indietro. «E' stato il solo prozio pittore che abbia mai avuto.
Dev'essere lui».
«Ma è un tesoro! Non lo userò mai».
«Oh, sì. Dovete. Che vi serva per ricordarvi che Dio elargisce la
benedizione del genio con grande giudizio». Mi agitò un dito davanti. «Il
talento non va nascosto dietro un cespuglio». Guardò di nuovo il mio
dipinto. «"A quel pietoso fonte, onde siam tutti / s'assembra ogni beltà che
qua si vede / più c'altra cosa alle persone accorte". Dalle sue Rime».
«Dio?» scherzai. «Dio ha scritto delle Rime?»
«No. Michelangelo».
«E' la stessa cosa».
Una volta a casa, disposi in belle file ordinate le trentaquattro monete,
per farle vedere a Pietro. Le girai in modo che si potesse vedere la faccia col
giglio. Ma non gli mostrai il pennello. Sentii la voce di suor Graziella. Sii
saggia.
Mentre aspettavo, avvertii una sensazione di disagio, di insoddisfazione,
che non avevo provato dopo aver terminato la Susanna o la Giuditta.
L'inclinazione era bella, certo. Appariva reale, certo, ma le mancava qualche
cosa. Il mio era stato un piacere visivo, nel creare la forma e stendere i
colori, e tattile, nello spalmare sulla tavolozza i colori densi e cremosi. Ma
al dipinto mancava l'invenzione.
Non raccontava una storia. Ero stata pagata per la mia perizia, non per
la mia arte.
Non l'avrei scritto a mio padre.
«Non posso crederci», esclamò Pietro quando, tornato a casa, vide le
monete. Pareva che non riuscisse a chiudere la bocca nel contarle. «Altri
artisti a cui Buonarroti ha commissionato dei pannelli con singole figure ne
ricevono solo dieci».
«Come lo sai?»
«Lo si sa. E' nostro mestiere saperlo».
Quella notte, a letto, rimase immobile come un sasso.
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