Page 89 - La passione di Artemisia
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urlava istericamente. Mi precipitai verso di lei.
«Oh, Palmira, tesoro. Dov'è papà?»
Mi si arrestò il cuore. Non era lì. Dio sa per quanto tempo l'aveva
lasciata sola. Avrebbe potuto portarla da Fina.
La presi in braccio e le baciai le guance arrossate, la fronte, le orecchie,
le manine strette a pugno. Sentii sulle labbra il sapore salato delle sue
lacrime. «Povera piccolina mia, tutta sola. Poverina. Non piangere».
Sentivo il suo corpicino squassato dai singhiozzi. La strinsi forte e la cullai.
«La mamma è qui adesso».
Si calmò e mi passò la manina umida sul corpetto ricamato.
Con le dita si aggrappò alla gorgiera, ma non era ancora disposta ad
abbandonare la rabbia. Comprendendo che ora aveva tutta la mia
attenzione, fece un singulto e mise il broncio. «Voglio un vestito come
questo».
«Ne avrai molti, te lo prometto. Adesso la mamma è entrata in
Accademia. Forse un giorno ci entrerai anche tu».
Le diedi mezzo uovo sodo e minestra di zucchine nella sua ciotola
preferita di ceramica azzurra. Quand'ebbe finito) si divincolò dalle mie
ginocchia e si mise la mia vestaglia sulle spalle, dopo di che prese a
pavoneggiarsi per la stanza trascinandosela dietro. Non glielo avrei
permesso in nessun altro momento e lei lo sapeva.
Tagliai la salsiccia di cinghiale per Pietro a fettine sottili e le sistemai
come monete antiche, attorno al bordo di un piatto di peltro. Al centro
collocai degli spicchi di pera, a circondare l'altra metà dell'uovo. «Vedi che
carina?
Sembra una stella». Poi preparai olio e pane. Come glielo avrei
comunicato? Non potevo certo farlo in tono esultante.
Feci le prove pronunciando le parole: Sono stata ammessa, in tono
piatto, come dicessi: Sta per piovere, ma non potevo fidarmi della mia voce.
Così, sulla superficie dell'olio tracciai con l'origano le lettere A e D, per
Accademia e Disegno. Accanto al piatto posi il documento di ammissione,
con le sue grandi A e D, versai della grappa in due bicchieri e mi misi in
attesa.
«Stai ferma», dissi a Palmira, e le feci una buffa caricatura con lo
strascico della vestaglia che si allungava oltre la pagina.
«Questa sono io, mamma?» Lo sguardo le brillava di piacere, un
momento prima di ricordarsi che era di malumore.
«E' la mia bambolina. Come si chiama?»
«Tesoro».
«E che altro?»
«Palmira», disse con voce di miele e seppi di essere stata perdonata.
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