Page 78 - La passione di Artemisia
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color miele, membra lisce e ben formate, che aveva la giusta combinazione

          di  forza,  scioltezza  e  grazia.  La  sola  cosa  che  mi  preoccupava  era  il  suo
          continuo tirar su col naso.
               Mi  sentivo  allegra  e  generosa  e  mi  venne  un'idea,  che  avrebbe

          trattenuto  Pietro  a  casa,  invece  che  agli  Uffizi,  e  gli  avrebbe  dato  un
          vantaggio sui suoi amici d'accademia.
              «Mio marito, Pierantonio Stiattesi, è un ottimo pittore. Ti dispiacerebbe
          se anche lui ti usasse come modella, solo mentre io faccio i primi schizzi?
          Nuda, intendo».

              Ci pensò su un poco. «Compenso doppio?» domandò.
              «Una volta e mezza».
              «E va bene. Se a mettermi in posa siete voi e rimanete nella stanza».

              «Naturalmente».
              «E che nessuno dei due lo dica in Accademia».
              «D'accordo».
               La mattina dopo, Pietro e io sedevamo entrambi di fronte ai nostri fogli
          da  disegno,  poggiati  su  una  tavola  sui  nostri  cavalletti,  in  attesa,  mentre

          Vanna  si  spogliava  lentamente,  piegando  con  cura  ogni  capo  di  vestiario,
          prima di togliersi il successivo. Evitava intenzionalmente di guardare Pietro
          ma, con le sue languide movenze, rivelava di essere chiaramente conscia, in

          modo  quasi  primitivo,  che  lui  stava  osservando  le  sue  carni  nude.  Le
          mormorai qualche istruzione, che seguì, e iniziai.
               Pietro no. Pur tenendo lo sguardo fisso solo su Vanna e sul mio disegno,
          mi  accorsi  che  per  lungo  tempo  rimase  seduto  lì,  immobile.  Cercai  di
          leggere nell'espressione di Vanna il modo in cui Pietro la stava guardando.

          Nel modo in cui teneva la testa, il mento sollevato, gli occhi abbassati verso
          di noi, riconobbi una sicurezza, un orgoglio della propria bellezza, persino
          un'ombra di alterigia. Ma ben presto venni assorbita dal mio lavoro e regnò

          il  silenzio,  a  eccezione  del  rumore  provocato  dai  nostri  carboncini.  Ogni
          tanto Vanna tirava su col naso e Pietro si schiariva la gola. Dopo un certo
          periodo,  Pietro  spostò  il  proprio  cavalletto,  per  avere  una  prospettiva
          diversa  dalla  mia.  Fu  una  buona  idea.  In  quel  modo  non  saremmo  stati
          tentati di sbirciare il lavoro dell'altro.

               Quando  aggiornai  l'ultima  posa,  lo  sguardo  di  Vanna  si  soffermò  un
          poco su Pietro, poi si voltò e nel rivestirsi gli diede la schiena. Accettò con
          distaccata dignità le monete che le porsi.

              «Mi volete», fece una pausa per tirare su col naso, «domani?»
              «Sì, ogni giorno».
               Quella sera, Pietro e io studiammo i nostri schizzi. Lui aveva una mano
          più  decisa,  più  sicura  della  mia  e  aveva  messo  in  risalto  la  trionfante
          sensualità  della  figura,  ma  gli  era  sfuggito  quello  che  io  avevo  visto:  i



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