Page 69 - La passione di Artemisia
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«La si vede spesso qui, o a Santa Croce o a San Lorenzo, a disperarsi e

          fare penitenza per qualche suo peccato», disse Pietro.
              Rabbrividii. Era così che avevano tentato di ridurmi durante il processo?
              «A volte va anche a Ponte Vecchio», continuò. «Dovunque vi sia gente.

          Non è religiosità autentica. E' solo esteriorità.
              Non prestarle attenzione, altrimenti strillerà di più».
               Non  ero  mai  entrata  in  Battistero.  La  folla  di  gente  si  spinse  dentro
          attraverso la porta del Pisano, l'ingresso meridionale.
               Nell'accalcarsi  di  famiglie  con  gli  infanti,  alcuni  dei  quali  piangevano,

          attorno alla fonte battesimale, Pietro e io stavamo in piedi come una coppia
          normale, fianco a fianco, con i corpi che si toccavano, nell'offerta al Signore
          di nostra figlia. In quel momento, quando Palmira venne aspersa d'acqua

          benedetta, fummo un'unica cosa: madre, padre, figlia.
               Stringendo  il  braccio  di  Pietro  mormorai:  «Adesso  è  insieme  a  tutti  i
          grandi artisti e scultori e poeti fiorentini battezzati in questo stesso luogo.
          Dio  ha  benedetto  le  loro  opere».  Le  speranze  che  nutrivo  per  lei  mi
          riempirono gli occhi di lacrime.

               Levai  lo  sguardo  offuscato  dal  pianto  all'imponente  Cristo  a  mosaico
          sopra  l'altare  e  mi  sentii  tremare  di  fronte  al  giudizio  dei  suoi  occhi
          penetranti.  Da  un  lato,  le  anime  buone  vengono  accolte  in  Paradiso  e,

          dall'altro,  i  demoni  divorano  i  dannati.  I  tormenti  infernali  sono
          rappresentati con la stessa amorevolezza delle gioie del Paradiso. Immagini
          dettagliate di ogni sorta di corpi arrostiti, frustati, bolliti, sventrati, ottenute
          con tessere di vetro rosse, azzurre, d'oro. Forse lo feci per superstizione, ma
          misi comunque una mano sulla testa di Palmira, per impedirle quella vista.

              «Chi ha fatto la volta?» domandai.
              «Non si sa», rispose Pietro.
               Era  stata  fatta  in  un'epoca  in  cui  gli  artisti  creavano  le  loro  opere

          nell'anonimato, a maggior gloria di Dio. Come la gente reale, con tutti i loro
          timori e i loro affetti, magari genitori essi pure, non erano nulla. E pensare
          che artisti così eccelsi erano già stati dimenticati. Fui presa da un profondo
          senso  di  vuoto,  che  minacciava  di  rovinare  la  gioia  di  quella  giornata.
          Nessuno ha mai saputo il loro nome.

               Palmira  continuava  a  fare  i  suoi  gorgoglii  nella  culla,  che  noi
          dondolavamo coi piedi, mentre eravamo intenti a dipingere.
               Provavo  una  sorta  di  nuovo  e  totale  appagamento,  anche  se  il  tempo

          davanti  al  cavalletto,  tra  una  poppata  e  l'altra,  fuggiva  via  velocemente.
          Talvolta,  come  aveva  scritto  papà,  non  riuscivo  a  distogliere  lo  sguardo
          dalle piccole labbra perfette di Palmira, che faceva le bolle, dalle unghiette,
          che  parevano  tante  minuscole  scaglie  di  cera,  e  non  riuscivo  a  lavorare.
          Altre volte, quando ero completamente assorta nel dipingere qualche cosa



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