Page 52 - La passione di Artemisia
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«Non voglio dirlo». Con espressione sibillina, puntò il coltello verso le

          tele arrotolate. «Se dipingi in questo modo e guadagni molto denaro, potrai
          coprirle di anelli. Oppure avresti dovuto sposare un uomo ricco».
              «Preferisco aver sposato un uomo buono».

               Sorrise  con  aria  confusa,  tagliò  un'altra  fettina  di  mela,  me  l'avvicinò
          alle  labbra  con  la  punta  delle  dita  e  mi  guardò  mentre  la  prendevo  tra  i
          denti.
               Due  giorni  dopo,  di  pomeriggio,  la  nuvolaglia  si  dissolse  e  il  sole
          spolverò di un lieve color terra di Siena le arcate di pietra e le merlature di

          porta  Romana,  l'ingresso  meridionale  di  Firenze.  Lungo  la  strada  si
          affacciavano  palazzi  color  ocra,  dai  tetti  di  coppi  rossi  e  le  persiane  color
          cannella  o  basilico.  Mi  sentivo  eccitata  come  lo  era  stata  Paola  per  me.

          Firenze!
              «Questo è Palazzo Pitti», disse Pietro spingendo il petto in fuori, mentre
          passavamo  di  fronte  a  un  palazzo  di  pietra,  straordinariamente  nuovo
          rispetto alla tradizione, poiché ciascuno dei tre piani era della stessa altezza
          ed  era  decorato  dallo  stesso  bugnato.  L'edificio  appariva  così  più

          impressionante che aggraziato.
              «Qui vive il granduca Cosimo de' Medici. Magnifico, eh?»
               Annuii.  «E'  di  un  colore  stupendo,  così  cremoso.  Un  palazzo

          imponente».  Questa  imponenza  non  gli  derivava  dalla  decorazione  o  dai
          rilievi, ma dalla semplice ripetizione decorativa dei finestroni ad arco. A me
          apparve  austero,  ma  non  osai  dirlo.  Era  evidente  che  Pietro  voleva
          impressionarmi.
              «Ci sei mai entrato?»

              «No».  Aggrottò  la  fronte.  «I  Medici  non  sono  più  quelli  di  una  volta.
          Questo è Cosimo II, molto diverso dal suo omonimo».
               Attraversammo un ponte per entrare nel cuore della città: edifici più alti

          di  quelli  romani  schiacciavano  le  strade  riducendole  a  stretti  corridoi,
          gremiti  di  carretti  trainati  da  muli,  banchi  di  pesce  e  di  frutta.  Il  selciato
          risuonava dello zoccolio di cavalli che riecheggiava sulle pareti di pietra, e
          da sotto le ruote delle carrozze svolazzavano via le galline.
               Pietro  chiese  al  cocchiere  di  fare  un  giro  attorno  al  Duomo  di  Santa

          Maria  del  Fiore.  Quando  vidi  per  la  prima  volta  la  sua  cupola  color
          terracotta, percorsa da costoloni, perdonai al palazzo la sua austerità. «Un
          giorno ti racconterò la storia di come Brunelleschi costruì la cupola», disse

          Pietro  con  un  orgoglio  tale  da  far  pensare  che  avesse  fatto  parte  delle
          maestranze di Brunelleschi.
              «Il campanile è una costruzione separata», osservai, attonita di fronte
          alla sua altezza. Sporsi il collo dal finestrino della carrozza per vederne la
          cima  e  la  cosa  fece  ridere  Pietro.  Le  lisce  lastre  di  marmo  verde,  rosa  e



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