Page 48 - La passione di Artemisia
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«Non si da via così un dipinto».
«Nemmeno per annunciare la presenza di un altro artista in città? Da
appendere tra le grandi opere che certamente possiede?»
Era evidente che l'idea non gli piaceva. Graziella mi aveva avvertito di
comportarmi saggiamente. «Non c'è bisogno di decidere adesso», dissi.
«Non è nemmeno terminato».
Arrotolai le tele senza stringere troppo. «Desidero solo che tu sappia
che, appena mi sarà possibile, intendo guadagnare del mio».
«Per me va bene».
Viaggiammo fino all'imbrunire e infine ci fermammo in una locanda per
la notte. Mi dolevano la schiena e le spalle, che avevo tenuto rattrappite per
ripararmi dall'umidità.
Quando mi aiutò a scendere dalla carrozza ero tutta irrigidita per la
lunga immobilità. La sua mano fresca era ferma sotto la mia. Mi piaceva
sentirla - sulla mano per lo meno.
La locanda era piena di raccoglitori di olive, vignaioli carrettieri e
contadini con le loro famiglie. L'odore del sudore delle loro fatiche si
mischiava con l'odore del fumo proveniente dal camino, della lana umida
che si asciugava e del letame che avevano attaccato agli stivali. Mi misi
accanto al fuoco e lasciai che il calore mi riscaldasse deliziosamente le
mani, arrivando fino a sfiorarmi la gola. Un frammento di cenere mi arrivò
sull'occhio. Mi girai. Nella stanza offuscata c'erano due bambini che,
ridendo e schiamazzando, correvano attorno ai tavoli insieme a un cane e
nessuno pareva curarsene.
Una giovane madre, con i capelli avvolti in un panno, allattava il suo
piccolo accanto a una vecchia rugosa, gettata contro la parete su un
mucchio di coperte, con delle calze pesanti, ma senza scarpe. Le dita
contorte si muovevano come se stessero compiendo dei gesti, mentre il
corpo era come accasciato, indifferente ai discorsi rumorosi e alle risate
attorno a lei. Il bagliore crepitante del fuoco illuminava solo il lato destro
del volto delle due donne. Quella scena profondamente umana mi
commosse. Com'era lontana Roma!
Quando la cameriera cominciò a scodellare qualche cosa da un
pentolone di rame, mi feci posto tra Pietro e un altro uomo sulla panca, di
fronte al tavolo poggiato su due cavalletti. La donna fece passare lungo la
fila di persone delle ciotole, bicchieri di stagno e brocche di terracotta,
colme di vinello bianco umbro. La cena comprendeva stufato di coniglio
con cipolle, fagioli e rape. Cibi campagnoli e semplici, profumati di salvia,
aglio e basilico. Pietro mangiava in fretta, a testa china, ingoiando senza
quasi masticare e mandando giù i bocconi con sorsi di vino bianco.
«Buono», disse.
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