Page 46 - La passione di Artemisia
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«Non  merita  il  sangue  che  ha  nelle  vene.  E'  un  villano  e  un

          mascalzone».
              «Lo stavi per sposare?»
              «Perché credevo di doverlo fare. Non me ne importa un fico secco di lui,

          ma mi importa di essere ritenuta innocente dal solo uomo al mondo per il
          quale potrebbe essere importante».
               Il  pensiero  parve  creargli  imbarazzo  e  tornò  a  guardare  fuori  dalla
          finestra. Raddrizzai la schiena. Dignità, pensai.
               Volevo che vedesse in me una certa dignità.  Le sue labbra si mossero

          appena.  Forse  aveva  capito.  O  forse  era  impietosito  e  non  voleva  che  gli
          spiegassi altro. Oppure non gli importava affatto.
              «Vivremo con i tuoi genitori?»

              «No. Sono morti».
              «Oh,  mi  dispiace».  Mi  sentii  una  sciocca  per  aver  pronunciato  quelle
          parole. Avrei dovuto chiedere a Porzia.
              «Uno zio portò me e Giovanni in un paese in collina durante l'ultima
          peste, dodici anni fa, ma loro dovettero rimanere. Ora possiedo io la casa di

          famiglia».
              Ritenni saggio non fare altre domande.
               Mi venne fame, ma avevo paura di dirlo. Non volevo avanzare richieste

          dopo solo poche ore dal nostro matrimonio.
               Mi resi conto, con un tuffo di disperazione, di come una donna sposata
          sia in una situazione di dipendenza da un altro - perfino per mangiare un
          boccone di pane. Anche Graziella si era sentita così? Anche mia madre?
              Ora mi dispiaceva di non aver parlato di più con mia madre.

              «Giovanni mi ha detto che sei un pittore», dissi dopo un po'.
              «Sì».
              «Anch'io».

              «Tu?»
              «Ma Giovanni te lo avrà detto di certo». Indicai le mie tele arrotolate.
              «Una volta a Bologna c'erano due pittrici», disse. «Dipingevano fiori».
              «Io  dipingo  esseri  umani».  Un  moto  di  curiosità  gli  traversò  il  viso
          butterato. «Vuoi vedere?»

               Pietro annuì. Le sollevai e le srotolai di fronte a me. La prima tela era la
          Suonatrice di liuto. Si mise a studiarla.
              «Una mano aggraziata», disse. La feci scivolare a terra, rivelando la mia

          Susanna, una tela troppo grande da srotolare tutta nella carrozza. Non poté
          vedere la parte inferiore, in cui Susanna immerge il piede nell'acqua della
          vasca di pietra.
              «Oh!» Spalancò gli occhi. Il cuore prese a battermi più forte di quanto
          fosse  accaduto  durante  la  cerimonia  del  matrimonio.  «E'  molto  buona»,



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