Page 41 - La passione di Artemisia
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quando  avevo  dodici  anni  e  tuttavia  non  avevo  mai  saputo  una  cosa  del

          genere. Non c'era da meravigliarsi che fosse diversa dalle altre suore.
              Attraverso la grata di legno guardai nella terza cappella: nell'affresco che
          la decorava c'era in effetti un uomo che indossava un mantello rosso che

          arrivava  fino  a  terra.  Aveva  capelli  bianchi,  barba  bianca  e  occhi  scuri,
          intelligenti.
              «Michelangelo», sussurrai. Mentre la Vergine, nella sua veste azzurra,
          era assunta al cielo, lui non la guardava attonito come gli altri personaggi.
          Il  suo  sguardo  era  fisso  su  di  me,  con  un'espressione  di  tenera

          preoccupazione,  quasi  scrutandomi  dentro  e  impartendomi  una  sorta  di
          benedizione.
               Stavo  andando  nella  sua  città,  a  vivere  e  imparare  in  mezzo  alle  sue

          opere.  Dalla  lunga  manica  spuntava  la  sua  mano,  nodosa  e  segnata  dallo
          scalpello. Mi sentii presa d'amore per quelle mani. Anche una mano ferita
          può  operare  grandi  cose.  Osai  pensare  che  tra  di  noi,  tra  i  nostri  spiriti,
          esisteva  un  legame.  Nessuno  forse  l'avrebbe  mai  visto,  ma  lì,  in  quella
          chiesa silenziosa, Dio avrebbe potuto, se avesse voluto, benedire l'unione di

          due anime.
               Graziella  mi  trovò.  «Ora  viene  suor  Paola  a  salutarti.  Ho  solo  un
          minuto».  Affondò  la  mano  dentro  la  manica  e  ne  trasse  un  minuscolo

          sacchettino  di  mussola.  Aprì  il  laccetto  e  fece  cadere  sul  palmo  due
          orecchini d'oro, ciascuno con una grossa perla barocca color crema, in cui la
          lucentezza  della  madreperla  rivestiva  una  superficie  tormentata  come
          quella di una noce. «Imperfetta come gli esseri umani», mormorò.
              «So che è una vanità. Avrei dovuto venderle con il resto delle mie cose,

          per portare al convento una dote più ricca. Me le regalò Marcelle il giorno
          del nostro matrimonio».
              «E come hai fatto a tenerle tutti questi anni?»

               Scoppiò in una risatina complice. «Nove anni. Non è stato facile. Cucite
          nel  corsetto  per  buona  parte  di  questo  tempo.  Una  volta  dovetti
          nasconderle dentro le scarpe».
               Ne  sollevò  una  e  la  fece  dondolare.  «Se  mi  si  dovevano  negare  le
          bellezze del mondo, queste almeno no».

              «Il mondo in una perla», osservai.
               Pensai  all'infinita  lentezza  con  cui  veniva  secreta  la  superficie  della
          perla per proteggere l'ostrica viva da ferite e irritazioni. Come la serenità di

          Graziella  che,  anno  dopo  anno,  aveva  smussato  l'acuminato  paesaggio
          interiore, pur senza nasconderlo del tutto.
               Mi mise in mano uno degli orecchini. Ne avvertii il calore. «Me ne basta
          uno soltanto», disse. «Tu puoi appuntarti l'altro su un vestito».
              «Graziella, non posso accettarlo».



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