Page 39 - La passione di Artemisia
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lo sai». Allontanò il secchio dal punto in cui stava pulendo.

              «Sono venuta a dirti che mio padre mi ha combinato un matrimonio».
              «E così doveva fare. Che sai dell'uomo?»
              «Solo che è un pittore. Di Firenze».

              «E andrai lì?»
              «Sì, oggi. Mi stanno aspettando a Santo Spirito proprio adesso».
              «Meglio presto che tardi».
              «Pensavo di volerlo, ma adesso ho paura. Come se ogni mio desiderio
          fosse stato prosciugato».

              «Non per sempre. Non sparisce per sempre».
              «Ma come potrei... non sopporto nemmeno d'essere toccata».
              «Finché rimarrai attaccata al tuo dolore, vivrai una vita misera, amara.

          Lascialo tutto a Roma».
               Mi  sentivo  a  disagio  lì  in  piedi,  mentre  lei  era  in  ginocchio,  così  mi
          inginocchiai di fronte ai gradini della sacrestia.
              «Posso farti una domanda?»
              «Sai che mi puoi chiedere qualunque cosa. Ma piano.

              Potrebbe arrivare qualcuno».
              «Che intendevi quando hai detto di essere stata abbandonata da Dio e
          dagli uomini?»

              Asciugò il pavimento con uno straccio e arretrò per continuare.
              «Ero sposata un tempo, ma mio marito è morto».
              «Non lo sapevo. Mi dispiace».
              «Secondo la legge dei quaranta giorni, la casa in cui vivevamo fu presa
          dai fratelli di mio marito quaranta giorni dopo la sua morte, così mi toccò

          andare  via.  Quando  tornai  a  casa  mia,  mio  padre  disse  che  non  aveva  il
          denaro per mantenermi». Si mise a sfregare con maggior vigore.
              «Tentò di trovarmi un vecchio vedovo, ma non ci riuscì».

              La voce le si spezzò. «Perché non ero vergine».
              «E che hai fatto?»
              «Puoi  immaginarlo,  no?  Non  essendo  buona  per  nessun  uomo,  sono
          stata data a Dio».
               Continuò a strofinare, piegata sulle ginocchia, parlando al pavimento e

          al suo bruschino. «Pezzo a pezzo, vendetti tutto quello che costituiva la mia
          dote, che avrei dovuto dare al convento. Tutti i miei vestiti, alcuni bei piatti
          e  raffinati  oggetti  di  vetro,  cucchiai  e  coltelli  d'argento,  vasi,  biancheria,

          coppe di peltro, gioielli e un dipinto che amavo».
               Tacque e si appoggiò sui talloni. «Rappresentava Venere e Adone in un
          giardino.  Non  era  di  un  pittore  importante,  ma  mi  manca.  Supplicai  mio
          padre di usare il denaro per il mio mantenimento. Disse che non sarebbe
          durato tutta la vita. Così, quando non ci fu più nulla da vendere, entrai in



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