Page 37 - La passione di Artemisia
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5. Suor Graziella







               Pietro Antonio di Vincenzo Stiattesi, il fratello di Giovanni Stiattesi, che
          viveva a Firenze, contò le monete della mia dote sul tavolo della taverna nel
          borgo al di là del Tevere, dove papà pensava che fossimo meno conosciuti.
          Mi sentivo come una capra al mercato. Questo estraneo, che presto sarebbe
          diventato mio marito, non mi guardava nemmeno.

               Io stavo in piedi nell'angolo della stanza e gli gettai qualche occhiata. La
          calzamaglia era allentata e i cordini della brachetta erano di cuoio, non di
          seta. Non avevo mai visto una brachetta, se non nei dipinti. Non era più di

          moda.
               Che  ci  faceva  con  una  cosa  del  genere  addosso?  Se  questi  vestiti  da
          matrimonio erano i migliori che aveva, compresi immediatamente perché
          papà era stato in grado di organizzare questo matrimonio di convenienza.
          Per la dote.

               Disse  che  aveva  preso  un  prestito  dai  fondi  pubblici  per  le  doti  e  da
          qualcun altro. Non aveva voluto dirmi da chi.
               Se si fosse trattato di chiunque altro me l'avrebbe detto. Mi resi conto,

          con  una  sensazione  di  gelo  nelle  vene,  che  il  denaro  per  la  dote  doveva
          essere stato parte delle negoziazioni condotte a porte chiuse, mentre io e la
          plebaglia di Roma attendevamo il verdetto. Mi venne la nausea al pensiero
          che mi stavo sposando col denaro di Agostino.
              «Mio fratello sarà buono con te. E' un pittore», mi sussurrò Giovanni

          che stava accanto a me.
              «Non è certo una prova di bontà quella», gli bisbigliai in risposta, poi mi
          vergognai della mia durezza. Ne sapevo qualcosa. Avrei dovuto essere grata.

               Con una mano resa callosa dalla tavolozza, il fratello di Giovanni spazzò
          via le monete dal tavolo, se le fece scivolare in borsa e infine mi guardò.
          Non aveva un viso spiacevole: leggermente butterato e un po' più lungo di
          quello di suo fratello, con occhi scuri e affossati. Mi piacevano i suoi ricci
          neri.  La  bocca,  piccola,  aveva  la  tendenza  a  spostarsi  di  lato.  Forse,  negli

          anni  futuri,  quella  bocca  mi  avrebbe  dato  gioia.  Sentii  un  certo  sollievo.
          Alcune  figlie,  figlie  non  volute,  venivano  sposate  malamente  a  uomini
          sfigurati, oppure vecchi, sciancati, o vedovi. Mi sorrise e gli risposi subito

          con  un  sorriso.  Per  il  momento  ne  fui  rassicurata.  In  matrimoni  come
          questo, avrebbe mai trovato posto l'amore?
               Pensai alla mia cassapanca da sposa, pronta e in attesa nella carrozza.
          Papà mi aveva dato il suo pestello per i colori e mi aveva detto di scegliere
          alcune cose della mamma.



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