Page 38 - La passione di Artemisia
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Avevo  scelto  la  brocca  e  il  catino  di  ceramica  azzurra  e  gialla,  il

          fermaglio per capelli con l'elitropio, montato in oro con pendente di perla,
          la bottiglietta da profumo di onice, la scatola portacarte di legno intagliato,
          che faceva il paio con quella di papà e una lampada a olio di ottone, con la

          figura  di  Diana,  che  i  greci  chiamavano  Artemide,  dea  della  castità.
          Successivamente  avevo  preso  anche  il  pugnale  della  mamma.  Lo  teneva
          sempre sotto il letto, per proteggersi, quando papà stava fuori fino a notte
          fonda. Non sapevo che tipo di persona fosse questo Pietro Antonio.
               Un anno prima, quando immaginavo che avrei sposato Agostino, avevo

          dipinto sulla cassapanca una scena di festino di nozze.  Una festa che ora
          non  avrei  avuto,  l'impalmamento,  la  messa  di  unione  e  le  nozze  si
          sarebbero svolti tutti nello stesso giorno. Non ci sarebbe stato il banchetto

          con le mele cotogne, capponi in salsa bianca, né torte di marzapane, vino e
          brindisi in nostro onore che ci avrebbero fatto arrossire, niente musica, né
          danze. Niente amici felici, venuti a farci gli auguri portandoci dolci in dono
          e che avrebbero riso, ci avrebbero preso in giro, avrebbero detto cose carine,
          ci  avrebbero  condotto  in  camera  da  letto,  per  poi  ricomparire  la  mattina

          seguente  a  condividere  la  nostra  felicità.  Niente  di  tutto  questo.  A
          mezzogiorno il mio destino si sarebbe compiuto.
              Avevo il tempo sufficiente, se avessi preso la carrozza.

               Afferrai  il  mantello  e  mi  precipitai  verso  la  porta.  «Ci  vediamo  alla
          chiesa di Santo Spirito».
              «Artemisia! Dove stai andando? Non puoi andartene così», disse papà,
          ma ero già fuori dalla porta.
              «Al convento della Santa Trinità», dissi al cocchiere.

               Attesi  alla  porta  del  convento,  sotto  l'alito  gelido  e  umido  della
          nuvolaglia  grigia.  Lungo  la  scalinata,  una  coppia  di  tortorelle  esplorava  i
          gradini unita, tubando dolcemente.

              Era così tenero vederle becchettare, rimanendo sempre vicine.
              Suor Paola aprì.
              «Posso vedere suor Graziella?» domandai con una certa fretta.
              «E' in chiesa».
              «Sta pregando?»

              «No, sta facendo le pulizie. Vieni, passa di qua».
               Entrai  in  chiesa  passando  attraverso  una  porticina  laterale  accanto
          all'altare. L'aria era fredda, immobile, come sospesa. Trovai suor Graziella

          che stava sfregando il pavimento di pietra dietro l'altare. «Il tuo stile di vita
          ti vuole certo inginocchiata», le dissi.
              «Oh, Artemisia, mi hai spaventato. Pensavo di essere sola».
              «Devi pulire tutta la chiesa?»
              «Solo la parte dietro la balaustra. Agilità e umiltà vanno fianco a fianco,



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