Page 49 - La passione di Artemisia
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Io  non  sapevo  cucinare  così.  Ci  sarebbe  voluta  mezza  giornata  -  a

          sgozzare e spellare gli animali - e quando avrei potuto dipingere? Dedicare
          tutta quell'attenzione a un pasto mi pareva tempo sprecato.
               Osservavo quella rozza gente umbra, stanca e rumorosa e lasciai che il

          loro vino mi scaldasse e che lo stufato mi portasse i sapori della campagna.
          Pietro strappò un pezzo di pane dalla pagnotta.
              «Buono il pane, eh?» dissi. «Probabilmente la moglie del locandiere ha
          usato della farina di grano dei campi di suo cognato, accanto a quelli di suo
          suocero  e  l'ha  cotto  questa  mattina  in  un  forno  di  pietra,  alimentato  a

          legna, raccolta in una foresta di proprietà del padre, che le ha portato suo
          cugino su un carretto».
              Rise dolcemente. «Lo sai per certo?»

              «No, me lo sono appena inventato».
               Di fronte a noi, un uomo sporco e stracciato, a cui mancavano i denti
          anteriori,  disse:  «Non  è  andata  lontana  dalla  verità.  Farai  meglio  a  darle
          retta, giovanotto».
              «Ah, è così?» Pietro si volse verso di me con un sorriso ironico.

              «E'  quello  che  mi  va  dicendo  mia  moglie  da  anni.  Se  solo  gli  uomini
          avessero le orecchie come i somari che sono, dice. E io le dico che questo
          accadrà il giorno che le donne avranno il muso di lepre. Sono trent'anni che

          ce lo diciamo».
              Aspirò il sugo con un risucchio.
              «Trenta!»
              «Volati  più  veloci  delle  ali  di  un  pipistrello.  Da  quanto  siete  sposati,
          eh?»

              Pietro e io ci scambiammo un'occhiata divertita.
              «Quattro o cinque», disse ridendo. «Ore».
              «Ehi, Madonna santa, auguri!» L'uomo si alzò in piedi e lo annunciò a

          voce alta a tutta la compagnia.
              «Auguri!» ci gridarono.
               Due  giovanotti  levarono  un  urlo  e  poi  tutti  si  misero  a  cantare  una
          canzone allusiva, che parlava delle dita sapienti di una lattaia. Alla fine, un
          donnone  forte  come  un  cavallo  da  tiro  scoppiò  in  una  risata  stridula  che

          pareva  lo  schiamazzare  di  una  gallina.  Anche  Pietro  rise,  ma  quando  si
          accorse del mio smarrimento smise. Si alzò in piedi, scavalcò la panca e mi
          porse la mano: «Andiamo di sopra».

               Gli  uomini  fecero  dei  sorrisini  e  urlarono  di  nuovo  e  la  donna  che
          rideva, dopo che mi fui alzata, mi afferrò il polso e mi attrasse verso di sé.
          «Senti,  bellezza,  ti  piacerà  dopo  che  avrà  fatto  irruzione».  Scoppiò  in
          un'altra risata, ancor più sonora.
               Per evitarla, mi girai per salire le scale in fretta e tutti risero di nuovo,



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