Page 235 - La passione di Artemisia
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Se  in  Francia  Agostino  era  stato  con  lui,  non  potevo  certo

          rimproverarglielo.
               Rimisi  le  sue  cose  nel  cofanetto,  nell'ordine  in  cui  le  avevo  trovate,
          infilai  la  camicia  da  notte  e  finii  il  vino  che  avevo  nel  bicchiere.  Non

          riuscivo a dimenticare l'umiliazione e lo struggimento della lettera scritta a
          Ferdinando,  ma  anch'io  avevo  scritto  delle  lettere  quasi  altrettanto
          disperate. Entrambe le nostre vite parevano essere state segnate da aspre
          umiliazioni,  alcune  vittorie  e  brevi  momenti  di  dolcezza.  Entrambi
          avremmo dovuto ritenerci fortunati se, alla fine, il dolce e l'amaro fossero

          andati in pari.
               Non aveva alcun senso che io fossi andata lì, se gli facevo desiderare di
          non averlo fatto. Il viaggio che avevo compiuto era stato facile, rispetto a

          quello che m'aspettava: completare quel gesto, non arrivare lì e basta, ma
          spingermi  fino  in  fondo  nel  mettere  in  atto  la  compassione.  Una
          compassione  maggiore  che  non  offrire  una  coperta,  e  altrettanto
          straordinaria quanto Cristo che abbraccia il lebbroso o Graziella che tocca
          l'appestato  morente.  Mi  spaventava,  non  per  quello  che  avrebbe  potuto

          accadere,  ma  perché,  se  avessi  voluto  essere  onesta  fino  in  fondo,  avrei
          dovuto diffidare della mia sincerità.
               Allentai il busto, mi distesi sul letto di mio padre e mi coprii con la sua

          coperta.  Forse  sarebbe  tornato  la  mattina  seguente,  pieno  di  vergogna,
          come me.
               Dormii fino a tardi la mattina dopo, perché dalle stanze adiacenti non
          proveniva alcun rumore. Rimestai le poche braci rimaste per riattizzare il
          fuoco e mi ci sistemai accanto. Ero affamata. Mangiai ancora carciofi, olive

          e il pane rimasto. Versai dell'acqua in una bacinella e vi immersi le mani
          per lavarmi il viso. Era talmente gelida che gridai. Riuscii ad appuntarmi i
          capelli, nonostante fossero molto sporchi dopo settimane di viaggio.

               Guardai fuori dalla finestra. Aveva cessato di piovere. Il cielo aveva quel
          colore che immaginai gli inglesi definissero azzurro. Sul lato opposto di un
          prato  si  trovava  la  Queen's  House,  dove  mi  aveva  condotto  la  carrozza
          appena  arrivata.  Da  dove  mi  trovavo  potevo  vederne  le  linee  classiche,  il
          raffinato  equilibrio.  Sul  tetto  aveva  una  balconata  da  cui  ammirare  le

          campagne  circostanti  e  un  loggiato  al  primo  piano.  Non  mi  restava  che
          attraversare  il  prato  per  vedere  se  mio  padre  si  trovava  lì.  Frugai  nella
          borsa, tirai fuori il pennello di Michelangelo e lo misi nella tasca interna

          della mantella. Trovai la scala e la porta d'ingresso.
               L'erba  alta  e  umida  mi  inzuppò  le  scarpe.  Sollevai  le  gonne  per  non
          sporcarle.
               Accanto al portone della Queen's House c'erano degli operai che stavano
          trasportando un'enorme cornice di legno non finita. «Orazio Gentileschi?»



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