Page 230 - La passione di Artemisia
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Troppi ormai».

              «Sì.  Lo  so».  Mi  sentii  scaldare  il  corpo  dal  vino,  mentre  il  fuoco  mi
          scaldava  dall'esterno.  Avvicinai  le  mani  alla  fiamma  ed  emisi  un  lento
          sospiro profondo, per scuotermi di dosso giorni di gelo.

              «E per che cosa? Per dei cortigiani dal cuore di pietra che se ne vengono
          qui due volte all'anno?» riprese a dire.
              «Per  della  gente  dalla  doppia  faccia,  che  mangia  il  pane  del  re  e  poi
          complotta contro di lui? Qui indossano dei giubboni imbottiti, ma non per
          tenersi caldi in questa terra ghiacciata. Servono a ripararsi dalle pugnalate a

          tradimento».
               Mimò il gesto con la mano in cui teneva il pane e ne cadde un carciofo,
          che raccolse e mangiò. «Per una regina intrigante e sussiegosa?»

              Non mi aspettavo tanta amarezza. «Per i posteri, padre».
              «No, Artemisia. Al mondo quasi tutti mangiano tranquilli il loro pane,
          osservando altra gente che viene frustata, impiccata, arsa viva, spettacoli di
          ogni genere», a ogni parola tamburellava con le dita sul bracciolo di legno
          della poltrona, «e non gli importa un fico secco che al mondo esistano dei

          pittori che lavorano tranquilli per i posteri».
              «Ma  tu  mi  hai  scritto  che  la  corte  ti  era  amica  e  che  lo  sarebbe  stata
          anche per me».

              «L'ho fatto per farti venire».
              «Vuoi dire che mi hai mentito?» Mi irrigidii.
               Sorvolò  sulla  mia  domanda  con  un  gesto  sdegnoso  della  mano.  Era
          l'ennesimo tradimento? Allora non ci sarebbe stato del lavoro per me? Se
          avessi reagito, di sicuro saremmo partiti col piede sbagliato.

              «Mi tollerano perché offro un po' di colore e animazione, invece dei loro
          tediosi  ritratti  inamidati».  Bevve  un  sorso  di  vino  e  allungò  il  collo  per
          gustarlo  meglio.  «Artemisia,  qui  la  vita  non  è  certo  dolce  come  da  noi».

          Chiuse  la  mano  e  se  la  portò  sul  cuore.  «Nessuno  apprezza  o  gode  la
          bellezza  in  modo  consapevole.  La  loro  gentilezza  è  volta  solo  al  proprio
          tornaconto o alla manipolazione. Dell'arte a loro non importa nulla. A loro
          importa della caccia, dei cavalli e delle navi».
              «Ma a noi importa. Ogni dipinto ci da gioia».

               Sollevò  gli  occhi  dal  suo  bicchiere,  come  se  quel  pensiero  lo
          meravigliasse. «A te va... va bene?»
              «Dipende. Ora ho un segretario che mi fa da agente. Ha venduto la mia

          prima Giuditta».
              «Finalmente  qualcuno  abbastanza  intelligente  da  riconoscere  il  tuo
          genio. Chi l'ha comprata?»
              «Il principe Gennaro di San Martino».
              «Per  lui  è  stata  una  fortuna  che  degli  sciocchi  se  la  siano  lasciata



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