Page 226 - La passione di Artemisia
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27. Orazio
Dovetti dormire una seconda notte con degli estranei su una nave
mercantile all'ancora nel porto di Calais, in attesa che la nebbia si alzasse,
per poter salpare e traversare la Manica. Un fioco chiarore proveniente da
una torretta d'avvistamento, che si intravedeva in quel buio cinerino, mi
rese cosciente della fragilità delle cose umane. Non vi sono certezze in
questo mondo. Delle forme evanescenti apparivano e poi sparivano,
paurose. Cosa c'era oltre la tolda? Un puntello o una monaca accucciata?
Un albero maestro con la sua alberatura o un crocefisso? Era così, in
questo modo indistinto, che Graziella ricordava Roma prima delle sue
esplorazioni notturne? Le cose che le erano care le erano venute a noia,
fino a renderle insopportabile e grigia la quotidianità? Lo scricchiolio e il
rollio della nave e il rumore del legno contro la banchina erano i suoni più
melanconici che avessi mai udito.
Mi avvolsi nel mantello, ma l'umidità mi fece rabbrividire.
Dalla nebbia emerse un uomo, che venne verso di me.
Mi coprì con la sua coperta, pronunciando parole che non compresi. O
era solo uno scherzo della nebbia? La sensazione della lana sulle mani e il
suo peso sulle spalle però erano reali. Stavamo forse rivivendo una
parabola biblica che mi esortava alla carità cristiana in un futuro a venire?
Il terzo giorno il tempo migliorò, al punto che si poté compiere la
traversata, ma la notte scese così presto che il giorno parve dimezzato.
Come faceva mio padre a dipingere in questo paese, dopo mezzogiorno? Al
di là del mio timore per i sentimenti che sarebbero potuti esplodere dentro
di me quando l'avessi rivisto, mi sentii attirata oltre la distesa marina da
un'invisibile linea di sangue, una vena forte abbastanza da trainare la nave.
La mattina seguente salii su un battello fluviale, per risalire il melmoso
estuario. La terra era piatta e poco interessante, gli alberi spogli, l'aria
pesante e gelida. Il Tamigi, il grande fiume di una nazione orgogliosa della
propria storia gloriosa, era una distesa d'acqua marrone e maleodorante.
Il gracchiare di enormi corvi non era certo un allegro benvenuto. Il
vento tagliente penetrava sotto il mantello.
Il battello risaliva il fiume a fatica, come se la terra volesse respingerlo.
Ora che ero tanto vicina, dovevo affrontare un vento, un fiume, una
nazione che non mi volevano far entrare.
Navi e chiatte si muovevano lentamente, passando di fronte a magazzini
di mattoni e cantieri navali. Sulla terraferma c'erano greggi di pecore che
pascolavano sui prati che circondavano le proprietà di campagna. Dov'era la
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