Page 228 - La passione di Artemisia
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Il guardaportone tornò e mi fece entrare, dopo aver lasciato il baule in
portineria. Presi la borsa e, con una fatica che rivelava la mia insicurezza,
proseguii. Una donna mi condusse ai piani superiori, chiacchierando in una
lingua che non capivo. Suoni aspri, che riecheggiavano contro le pareti di
pietra della scalinata. Dall'espressione pareva volermi rimproverare per
non essere arrivata prima. Attraversammo numerose sale, finché alla fine
aprì una porta e lo vidi.
Orazio Gentileschi, con un giubbone informe gettato sulle spalle, che
tossiva e si stringeva le mani al petto.
Quando mi vide gli sfuggì un suono inarticolato. Fece qualche passo
verso di me, poi si fermò.
«Mi hai chiesto di venire», dissi, col sangue che mi pulsava alla gola.
«Avevo rinunciato all'idea che tu lo facessi».
«Non sono potuta venire prima. Palmira si è voluta sposare.
Mi è occorso del tempo per farle la dote».
«Avresti dovuto chiedere a me».
Tra una frase e l'altra c'erano delle lunghe pause. Eravamo distanti.
Avevo ancora in mano la borsa. Mi fece cenno di sedere.
«Ha sposato un giovane nobile. Per amore. Si sono scelti.
Non terrà mai in mano un pennello. Odia la pittura».
Sul suo volto si dipinse un'espressione dolorosa. «Immagino che sia
stata una sposa bellissima».
«Sì. Ma la bellezza non è tutto. E' meglio essere assetati di bellezza e
comprenderla, che essere belli e basta. Alla fine la vita risulta più ricca. Un
giorno forse lo imparerà».
Soffiò dalle narici. «E così gli anni ti hanno reso saggia».
«Mi hanno reso realistica e appagata. Sono felice che lei sia felice».
«E suo padre? Era presente al matrimonio?»
«No».
«Peccato. Sarebbe stata una buona occasione per una riconciliazione».
Nei suoi occhi scorsi disapprovazione.
«Hai tentato?»
Non sono fatti tuoi, avrei voluto dirgli. «Non è così semplice come
credi».
«Non ha contribuito a farle la dote?»
«Non gliel'ho chiesto».
Ci squadrammo guardinghi, come se sapessimo che un solo passo falso
avrebbe potuto far scoppiare un incendio.
«Posso sedermi? Sono esausta».
Mi liberò una sedia ingombra di stracci sporchi di colore e l'accostò al
camino. Non una parola di ringraziamento per essere venuta.
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