Page 233 - La passione di Artemisia
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28. Artemisia







              Vattene. E dove? Rimasi sola nella sua stanza, tremante.
               Dopo un viaggio durato un mese: vattene. Dopo aver smantellato la mia
          vita un'altra volta: vattene. L'ingrato.
              Non avrei dovuto andare.
               Presi  a  girare  in  cerchio  per  la  stanza.  Non  me  ne  sarei  andata.  Non

          avevo un posto dove andare. E se anche l'avessi fatto, nessuno mi avrebbe
          capito. Che fosse lui a passare la notte altrove. Mi aveva fatto venire con un
          pretesto e poi mi scacciava. Era diventato un vecchio incattivito.

               Buttai giù del vino e mi lasciai cadere sulla sedia accanto al fuoco. Mi
          sentivo ferita e prosciugata. Solo una delle cose che aveva detto aveva senso
          e cioè che Agostino avrebbe continuato ad abusare di me, se mio padre non
          l'avesse trascinato in tribunale. Probabilmente era vero. Un orribile mese di
          orribile viaggio per imparare questo.

               Mangiai  delle  olive  e  mi  guardai  intorno.  La  stanza  era  in  gran
          disordine. A un gancio erano appesi un panciotto e un paio di braghe. Libri,
          piatti  con  resti  di  cibo,  vasi  pieni  di  pennelli,  la  sua  vecchia  copia

          dell'Iconologia di Ripa, foglietti con degli schizzi, il tutto sparpagliato su un
          lungo tavolo da lavoro.  Tra due lampade a olio erano ammonticchiati dei
          disegni  di  grande  formato.  Ero  curiosa,  ma  troppo  stanca  per  alzarmi  e
          guardarli. Appoggiai la testa all'alto schienale e chiusi gli occhi.
               Dopo  un  po'  sentii  un  rumore.  Forse  stava  fuori  della  porta,  in  attesa

          che gli domandassi scusa. L'aprii e attraversai altre stanze. Vuote. E fredde.
          Tornai nella sua stanza e misi altra legna nel camino.
               Ma ero troppo curiosa. Sulla copertina di una cartella di disegni aveva

          scritto: «Allegoria della Pace e delle Arti sotto la Corona Inglese». Guardai
          tutti i disegni. Si trattava di muse e di figure allegoriche con i loro specifici
          simboli,  tratti  dall'Iconologia.  Libro,  elmo,  sfera,  flauto,  palma,  fronda,
          spiga di grano, alloro, serto, cornucopia. Aveva ancora un gran senso della
          composizione e della forma.

               Aveva tutto l'aspetto di un grande progetto. Mi chiesi a che punto fosse
          arrivato.
               Presi una piccola pergamena su cui erano schizzati dei volti di profilo e

          di tre quarti. Pensare che ancora, alla sua età, faceva degli studi per i volti!
          Mi sentii commossa dall'umiltà che c'era in tutto questo. Come in me, che
          faticavo  ancora  a  disegnare  i  piedi.  Sul  retro  del  foglio  c'era  una  lettera,
          piena  di  macchie  d'inchiostro  e  cancellature,  indirizzata  al  granduca
          Ferdinando.



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