Page 237 - La passione di Artemisia
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«Di mia figlia, innanzitutto. Io sento la vita con maggiore intensità di

          quanto non faccia lei. Ne accetto la sofferenza quanto la bellezza. Spero di
          morire felice di aver vissuto veramente».
              «Non hai rimpianti?»

               Era  la  domanda  più  spinosa  che  mi  avesse  posto.  Rispettai  il  suo
          coraggio, la sua disponibilità ad affondare in profondità nella ferita.
              «Per come ho vissuto dopo aver lasciato Roma la prima volta?»
              «Qualunque essi siano». Gli vidi irrigidire la mascella e le spalle, pronto
          ad ascoltare quel che avrei detto.

               Dovevo dirgli che troppe volte mi ero sentita come un fascio di legnetti
          umidi, gettati nel fuoco solo per bruciare pateticamente, quando qualcosa
          andava storto?  Dovevo lamentarmi di non essere stata capace di tenermi

          l'uomo  che  avevo  imparato  ad  amare?  Dovevo  spiegargli  la  scoperta  di
          Galileo  che  non  siamo  ciò  che  pensiamo  -  che  la  nostra  vita  è  sminuita
          nella sua importanza dalla piccolezza del luogo in cui viviamo, un pianeta
          periferico, come una pennellata nell'angolo di un dipinto, che contribuisce
          al risultato finale, ma che quasi nessuno nota? Dovevo ammettere che la

          cosa più importante per me era la traccia che avrei lasciato nel mondo, ma
          che le mie opere erano solo un gingillo per i Medici?
               Mio  padre  attendeva  la  risposta  sostenendosi  allo  schienale  di  una

          sedia: un vecchio che cercava di farsi forza per prepararsi all'assalto.
               Ma  di  umiliazioni  ne  aveva  avute  a  sufficienza,  non  aveva  bisogno  di
          ascoltare anche le mie.
              «No.  Nessun  rimpianto».  Trassi  un  profondo  respiro,  inspirando  ed
          espirando, come una marea. «Solo che non sono mai riuscita a prendermi

          una pausa».
               Strizzò gli occhi e capii che stava cercando di comprendere il senso di
          quel che volevo dire.

              «Solo la pittura e Palmira. Se avessi avuto un amante o un marito che
          mi  amava,  avrei  avuto  qualcos'altro.  Qualcuno  con  cui  assaporare  le
          dolcezze della vita».
              Chinò la testa pensieroso. Era lo stesso anche per lui.
               Solo che io gli avevo negato le gioie di essere genitore, diversamente da

          come  era  successo  a  me  con  Palmira.  Ci  guardammo  negli  occhi  nello
          stesso  istante,  riconoscendo  nello  sguardo  lo  stesso  dolore,  ora  che  ci
          trovavamo faccia a faccia. Si stava rafforzando un legame.

              «Sono la figlia di mio padre».
              «In che senso?»
              «Entrambi abbiamo scelto l'arte e non nostra figlia», dissi in un soffio.
              «Solo il tempo potrà dire se ne è valsa la pena».  Poi subito aggiunse:
          «Non hai trovato l'amore?»



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