Page 239 - La passione di Artemisia
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Avrei potuto offendermi. Stavo per dire che Buonarroti me l'aveva dato

          per usarlo, ma poi lo guardai negli occhi e non vidi altro che la venerazione
          di un ideale.
               Mi  fece  sistemare  una  stanza  accanto  alla  sua  e  mi  portò  della  legna

          dalla sua riserva, personalmente, ciocco per ciocco, per alimentare il fuoco.
          Poi mi portò lo scendiletto di mia madre, che pose accanto al letto. Nel suo
          studio guardammo insieme i disegni e decidemmo a quali delle restanti tele
          avrei lavorato.
              «Prepariamo  l'imprimitura  di  tutte  le  tele»,  disse,  improvvisamente

          animato, prendendo quattro enormi tele già tirate.
              «Tutte e quattro insieme?»
              «Perché no?»

               Le  mettemmo  in  fila  e  mischiammo  gesso  fine,  colla  di  pergamena  e
          biacca.  Prendendo  i  larghi  pennelli  per  passare  l'imprimitura,  sorrise
          furbescamente e me ne passò uno.
              «Guarda  e  indovina»,  disse  deciso,  con  gli  occhi  che  gli  brillavano.
          Immerse il pennello nella mestica e formò una grande S che andava da un

          lato all'altro della prima tela.
              Arretrò e indicò ciascuna delle altre tre.
              «Hai capito?»

              «No».
               Rise  e  proseguì  con  la  seconda  tela.  Era  bello  vederlo  tanto  felice.
          Dipinse  mollemente  un'enorme  P.  «Ti  piace,  eh?»  Con  uno  sguardo
          birichino mi fece cenno di finire le due rimanenti. «Non lo sapranno mai».
               Non  ero  sicura  di  quello  che  voleva  che  dipingessi,  ma  immersi  il

          pennello ed eseguii una grande O.
              «Sì, sì!» disse.
              Aggiunsi alla lettera una coda ricurva e ne feci una Q.

              «Bene!» gridò.
              Sull'ultima tela tracciai una R.
              «Che meraviglia. Ecco! SPQR. Il Senato e il Popolo Romano».
               Poi ridendo esclamò: «Sotto la pretesa del primato inglese della Pace e
          delle Arti c'è Roma, e sempre ci sarà».

              «Il fondamento», aggiunsi.
               Mi baciò su entrambe le guance.  Mentre allargavamo  le  lettere  fino  a
          riempire tutte le tele, si mise a cantare una canzone d'amore in romanesco.

               Con  che  lentezza  dipingeva.  Con  che  esitazione  mischiava  i  colori.  A
          volte  lavoravamo  insieme  alla  stessa  tela,  lui  dipingendo  una  figura  e  io
          un'altra e spesso vedevo che mi osservava. La mattina iniziava a dipingere
          sempre  più  tardi  e  il  pomeriggio  terminava  sempre  più  presto.  Ma  ogni
          giorno faceva qualche cosa, fosse anche solo un pezzetto di sfondo. Mentre



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