Page 211 - La passione di Artemisia
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voleva indietro un quadro. Prendeva tempo aspettando la restituzione.
Altrimenti avrebbe fermato prima il processo».
Non disse nulla.
«E' questo l'uomo per il quale dobbiamo rinunciare a tutto?»
Silenzio. Non fece domande, non aggrottò nemmeno la fronte. Non un
suono o un gesto.
Spostai rumorosamente la sedia e mi alzai, aspettando ancora che
dicesse qualche cosa. Presi la lettera dalle sue mani, andai nell'altra stanza
e mi versai un bicchiere di vino. Mi sedetti e lo mandai giù quasi d'un fiato,
in tre sorsi. Il mio amaro calice. Mia figlia non aveva rispetto per i
sentimenti altrui.
Le lettere e i numeri che componevano la data - 24 dicembre 163... -
erano scritti male e tutti affastellati verso il bordo della lettera, tanto che
non si poteva leggere l'ultima cifra. Era un brutto segno per un pittore, che
avrebbe dovuto conoscere l'arte delle spaziature. C'era qualcosa di
malinconico in quei numeri malscritti.
Rilessi. Sono solo. Sto morendo. Perdona un vecchio pazzo.
Aiutami a finire. Capivo la solitudine, non il morire. Anche se la morte
l'avevo dipinta e immaginata, non la conoscevo.
Aiutarlo a finire che cosa? Non poteva essere solo il soffitto a fresco.
Mi voleva lì con lui per aiutarlo a morire. Era lecito in qualche modo a
lui, a chiunque, desiderare di morire in presenza dell'amore, così com'era,
così come lui sperava che fosse. Io avrei desiderato la stessa cosa, morire
tra le braccia di una figlia, di un uomo che mi amasse. Se ci fosse stato un
estraneo, sarebbe stato forse sufficiente, se solo quella persona avesse
tenuto in mano il pennello di Michelangelo e mi avesse carezzato
dolcemente le tempie, per ricordarmi che un uomo mi aveva ritenuto degna
di un tale dono. Ci prepariamo alla morte facendo tesoro di momenti simili,
quando sentiamo che persino l'ultimo di noi è stato necessario per la piena
espressione della mente divina.
Forse a mio padre era necessario che qualcuno glielo sussurrasse
nell'orecchio, in italiano.
Poteva sussurrarglielo quell'uomo dal nome strano, Inigo-qualcosa.
Tornai nella sala. «Rimettiamoci al lavoro», dissi con la maggior
dolcezza possibile. Presi il pennello e cercai di concentrarmi e di lasciare
che Palmira risolvesse da sola i suoi problemi di pittura. Dopo poco,
Palmira sbatté il pennello sulla tavola che stava tra noi. Il rumore mi fece
sobbalzare.
«Non posso farlo. E' troppo difficile», gridò.
Guardai la sua Betsabea. Le proporzioni erano corrette, ma la figura era
legnosa. La posa di Betsabea non aveva vita. Palmira aveva lavorato sul
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