Page 210 - La passione di Artemisia
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volevano maggiore quantità d'olio e quali meno, per poter essere stesi in

          modo uniforme. Quali macinare a polvere fine e quali lasciare più grossi,
          per mantenere la loro intensità. Mi chiamava "alchimista del colore", il mio
          papà,  che,  più  di  qualunque  altra  cosa,  aveva  fatto  nascere  in  me  il

          desiderio di essere una pittrice, e poi mi aveva reso più difficile diventarlo.
              Mi infilai la lettera nella manica e tornai a dipingere.
              Palmira si lamentava davanti alla sua tela. «Non viene bene».
              «Cara,  il  piacere  del  dipingere  sta  esattamente  nella  sensazione
          dolorosa  di  sapere  che  non  sta  venendo  bene.  Così  provi  qualcos'altro  e

          provi e riprovi, finché ti riesce proprio come vuoi tu. Magari non è perfetta,
          ma è molto meglio di quando hai cominciato e, quando accade, è una delle
          sensazioni più esaltanti che esistano, perché te la sei guadagnata».

               La  sua  espressione  mi  mosse  a  compassione:  aveva  persino  gli  occhi
          umidi.  Forse  aveva  bisogno  di  smettere  per  un  po'.  Posai  il  pennello  e  le
          lessi la lettera.
              «Nonno!»  gridò.  Regredì  all'infanzia.  Afferrò  la  lettera  come  una
          bambina bramosa. «Quella lettera che hai bruciato, anche quella era sua,

          vero?»
              «Sì».
               Mi guardò con gli occhi in fiamme. «Perché non me l'hai fatta vedere?

          Dice che sta morendo».
              «Non l'aveva detto nella prima».
              «Ma non avevi il diritto di non farmela vedere».
              «Che facciamo? Rinunciamo a tutto quello per cui abbiamo lavorato? E
          Andrea? Partire proprio ora che...»

              Palmira si portò le mani alla bocca. Gli occhi scuri si allarmarono.
              «...che sei tanto felice? Non ti farei mai una cosa simile».
              L'abbracciai.

              «C'è un altro aspetto di tuo nonno, che tu non conosci.
               Pensavo che forse non te ne avrei mai dovuto parlare. In quella lettera
          non pensa a noi. Pensa solo a se stesso».
               Il  volto  di  Palmira  si  rannuvolò.  Era  stata  felice  con  lui  a  Genova.
          «Come puoi dire questo?»

               Parlai  con  calma,  in  tono  distaccato,  raccontando  solo  i  fatti.  «Ha
          acconsentito  a  perdonare  il  mio  stupratore,  perché  aveva  bisogno  di  lui.
          Sono tornati amici. Come pensi che mi sia sentita?»

              Non disse nulla.
              «Adesso  che  sei  grande  abbastanza  per  capire,  ti  dirò  un'altra  cosa.
          Quando  avevo  la  tua  età,  delle  levatrici  esaminarono  le  mie  pudenda  di
          fronte a tutto il tribunale e lui permise che lo facessero. Rimase seduto lì a
          guardare,  insieme  a  tanti  altri  estranei,  venuti  per  divertirsi,  solo  perché



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