Page 206 - La passione di Artemisia
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pagare  l'ingiustizia  di  averla  privata  del  padre  e  del  nonno,  di  averla

          sradicata  all'improvviso,  di  averla  costretta  a  quei  viaggi  scomodi  da  una
          città  all'altra,  con  tutto  il  nostro  mondo  chiuso  in  pochi  bauli.  Dovrò
          pagare».

              «In che modo?»
              «Mi lascerà, innanzitutto, e un giorno dovrò vivere da sola».
              «Da sola? Non è detto che debba essere così». Si portò la mia mano alle
          labbra. Io la sottrassi.
              «Pettegolezzi,  Francesco.  Devo  stare  all'erta.  Pettegolezzi  che  mi

          inseguono ovunque».
              «Quel poeta a Venezia? Loredan? Era solo un pettegolezzo?»
              «Madonna benedetta, era solo un ragazzo con l'immaginazione accesa».

              «I  pettegolezzi  mi  rendono  geloso  e  la  gelosia  mi  rende  audace.  Siete
          ancora giovane. Potete avere un'altra figlia».
              Mi guardò con occhi teneri.
              «Non ho quasi nemmeno il denaro sufficiente per questa.
               Dovete  impegnarvi  di  più,  Francesco,  per  farmi  ottenere  commissioni

          più ricche. In futuro dovrò provvedere a una dote, sapete».
               Come  suggerimento,  rivolsi  lo  sguardo  alla  scialba  contessa  di
          Monterrey,  che  dominava  su  un  gruppo  di  signore,  non  lontano  da  noi.

          Francesco seguì il mio sguardo.
              «Forse  potrebbe  acconsentire  a  farsi  fare  un  altro  ritratto,  magari  in
          vesti di eroina di qualche leggenda spagnola», disse Francesco.
              «Sembra che voi mi leggiate proprio nel pensiero».
              «Questa è la mia arte, Artemisia. Ecco perché avete bisogno di me».

              «Vedo  che  giocherella  con  le  sue  unghie  ingiallite  anche  quando  non
          posa per il ritratto». Repressi una risatina.
              «Una  volta,  mentre  posava  nel  mio  studio,  Palmira  le  rifece  il  verso

          dietro la schiena. Si mise in testa uno scialle nero, alla moda spagnola, fece
          la  faccia  lunga,  risucchiò  le  guance,  spalancò  gli  occhi  e  si  mise  a
          tormentare le dita come faceva lei. Mi riuscì davvero difficile non ridere in
          faccia alla contessa».
              Francesco mi sorrise con indulgenza.

              «Sapete, vero, che nel ritratto che le ho fatto le ho liberato la fronte da
          quel  fiocco  nero  che  porta  e  le  ho  distanziato  le  sopracciglia  unite?  L'ho
          resa meno tetra e un giorno i suoi nipoti potranno apprezzarla di più».

              «Molto intelligente da parte vostra. Vi deve un grande favore».
               Proprio  in  quel  momento  l'orchestra  attaccò  una  danza  fiorentina,
          inventata da Lorenzo il Magnifico. Mi feci avanti, per unirmi in terzetto a
          un'altra coppia. Il salone era pieno di musica e colori. Per tutta la durata
          della danza mi sentii addosso lo sguardo di Francesco. Quando terminai, mi



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