Page 201 - La passione di Artemisia
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«E  va  bene.  Andremo  a  prendere  il  vestito  oggi  e  mangeremo  pane  e

          brodo  finché  il  vescovo  non  costringerà  quel  brutto  ceffo  di  un  prete  a
          pagarmi». Con un sorriso ironico la rassicurai che non saremmo morte di
          fame. Il suo viso si rilassò.

               Svoltammo  per  un  vicolo  che  cambiava  continuamente  direzione,
          inerpicandosi su per le salite dello squallido quartiere in cui viveva Delia, la
          nostra sarta a buon mercato.
               Le case alte e scrostate si affastellavano le une sulle altre e tra i balconi
          erano tesi i fili per stendere, con biancheria ingiallita appesa ad asciugare.

          Ci  tappammo  il  naso  con  le  maniche,  per  ripararci  dai  miasmi  che
          esalavano dalle pozzanghere e dai bassi.
               A  nessuna  delle  due  piaceva  Napoli  più  di  Roma,  dove  eravamo  state

          bene  per  quattro  anni,  prima  che  le  mie  commissioni  arrivassero  al
          termine.  Ma  a  Napoli  viveva  don  Francesco  Maringhi,  mio  segretario  e
          agente. Mi aveva procurato delle commissioni da parte del duca di Modena,
          di don Antonio Ruffo a Messina e del conte di Monterrey, il viceré spagnolo
          di  Napoli.  Francesco  stava  persino  trattando  la  vendita  della  mia  prima

          Giuditta. Era un valido aiutante ed era diventato un caro amico e dunque
          avevamo deciso di rimanere.
               Sotto  una  volta  ad  arco  una  vecchia  macilenta,  le  cui  rughe  flaccide

          erano  incrostate  di  sporcizia,  stava  mungendo  una  capra.  Sarebbe  stata
          un'ottima  modella  per  qualche  allegoria  della  vecchiaia,  ma  ora  nessuno
          voleva  dipinti  di  stile  realistico.  Chi  comprava  l'arte  non  vedeva  nulla  di
          interessante nella vecchiaia o nella bruttezza. Non comprendevano che la
          bruttezza, presa nell'istante di una forte emozione, avrebbe sfidato i secoli.

          Volevano solo la bellezza ideale. In un altro tempo sarei stata in grado di
          dipingerla, ma ormai mi mancava il coraggio necessario all'invenzione.
               Avevo imparato a piegarmi dinanzi a ciò che poteva pagare i conti della

          sarta e del panettiere.
               La  casa  di  Delia,  in  cima  a  scale  anguste,  era  più  pulita  di  quanto
          dovevano essere le altre in quel quartiere. Su un tavolo erano posati i pezzi
          di un giubbone da confezionare e a un gancio del soffitto era appesa una
          gonna imbastita.

              Palmira si guardò ansiosamente in giro per trovare il suo vestito.
              «E' bello e pronto, piccola, e ti aspetta. Non preoccuparti», disse Delia e
          sparì in un'altra stanza. Tornò reggendo in mano una veste di seta rigonfia,

          del  colore  della  baia  di  Napoli  in  un  giorno  di  sole.  Le  maniche  erano
          intagliate per lasciar trasparire sbuffi di seta bianca. L'espressione rapita di
          Palmira era impagabile. Delia la girò, per mostrare una fila di fiocchi di seta
          bianca lungo la schiena.
              «Come faremo ad annodare quei fiocchi?» chiese Palmira.



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