Page 203 - La passione di Artemisia
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mani  e  la  lessi  di  nuovo.  La  scrittura  era  diversa  dalla  solita  calligrafia

          armoniosa  di  Galileo.  Sulla  prima  riga,  di  lato,  c'era  una  macchia  di
          inchiostro. L'aveva scritta a letto? I problemi del vestito di Palmira e della
          festa  del  ventunesimo  compleanno  di  un  nobile  passavano  in  secondo

          piano, quando Galileo si trovava in angustie tanto gravi. Io non potevo fare
          nulla.  La  mano  nera  dell'Inquisizione  avrebbe  comunque  colpito  dove
          voleva. E quando si fosse fermata, l'altra mano nera, la peste, era pronta a
          riversare i suoi orrori.
               La lettera aveva impiegato quattro mesi ad arrivare, supposi, a causa dei

          posti di blocco creati per contenere il diffondersi della peste. Dunque il suo
          processo  doveva  essere  imminente,  se  non  già  in  atto.  Mi  sedetti  per
          scrivergli una lettera di incoraggiamento, per quel che mi era possibile.

               Mio  Stimatissimo  e  Caro  Amico,  Ho  ricevuto  la  Vostra  lettera  solo
          qualche momento fa e sono assai angustiata per Voi. Ricordate, come mi
          diceste una volta, noi ci illudiamo soltanto di stare fermi. Il mondo cambia
          in continuazione, anche se nel corso della nostra vita ci appare inamovibile
          come  una  roccia.  Anche  la  roccia  reca  le  impronte  di  molti  uomini.  Le

          Vostre porteranno un giorno a, scoprire verità insospettate. Lasciate che il
          mio  pensiero  amorevole  e  rispettoso  Vi  sia  di  qualche  conforto,  se
          possibile. Avete le mie preghiere.

               La Vostra, sempre Artemisia La inviai all'ambasciata di Toscana a Villa
          Medici a Roma.
               La  domenica  andai  in  chiesa  in  preda  al  terrore.  Durante  la  messa  il
          sacerdote  annunciò  con  un  sorriso  arrogante  che  i  fedeli  non  dovevano
          temere per le dichiarazioni errate di Galilei, perché il Santo Uffizio lo aveva

          condannato giustamente per i suoi orribili crimini contro i Sacri Testi.
               Aveva pronunciato un'abiura e ora negava le sue teorie come errate ed
          eretiche e, di sua spontanea volontà, compiva quotidianamente penitenza

          per mitigare quei crimini.
              Un colpo improvviso e inesorabile non meno della peste. Mi sentii male.
          Lasciai Palmira in chiesa con Andrea, andai dritta a casa e mi stesi sul letto,
          al  buio.  Non  era  altro  che  un  bigottismo  ipocrita.  La  sua  abiura  doveva
          essere  falsa.  Non  avrebbe  mai  ricusato  le  sue  passioni,  a  meno  che  non

          fosse stato minacciato di tortura. Ne conoscevo il potere spaventoso e non
          lo  giudicai.  Quell'odioso  sacerdote  aveva  sorriso  sardonicamente  mentre
          dava la notizia.

               Trascorsi  il  pomeriggio  in  un'inquietudine  febbricitante,  cercando  di
          immaginare le sofferenze di Galileo.
               Per alcuni giorni stetti male e Palmira si occupò di me e della cucina,
          cercando di farmi mangiare. Temeva che il sabato seguente non sarei stata
          in forma, al ballo di Andrea.



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