Page 196 - La passione di Artemisia
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«Ma possibile».
«Sì, possibile».
Dopo un po' dissi a Palmira: «Mostra a suor Paola il tuo ricamo».
Palmira aprì i laccetti della borsa e prese il ricamo.
«Oh! E bellissimo!» esclamò suor Paola e la tenne occupata chiamando
i vari punti con nomi di santi.
Infilai la mano nella borsa e presi i cubetti di pigmenti avvolti nella
carta. Via via che li apriva, gli occhi di Graziella si facevano sempre più
grandi. «Sono colori bellissimi e di sicuro riuscirò a dipingere delle pagine
meravigliose.
Solo che... se non vedo nulla di nuovo dipingo sempre le stesse cose».
Questo lo capivo. L'arte si nutre di arte. Anch'io sarei stata ripetitiva se
non avessi potuto vedere nuove forme, nuove combinazioni di colori e
composizioni nuove.
«Parlami di Venezia», disse Graziella. «Fammene un quadro, ora».
Una certa rassegnata disperazione nel suo corpo proteso in avanti mi
spinse ad accontentarla.
«A Venezia, sopra i tetti, si eleva ogni sorta di pinnacoli, cupole,
campanili e parapetti - sono tetti piatti, con dei terrazzi di legno che
chiamano altane. Da una parte all'altra dei canali si fronteggiano le statue
poste sui tetti dei palazzi. I mascheroni che decorano le chiavi di volta degli
archi guardano verso il basso per poter essere più visibili dalle gondole.
Tutto serve allo spettacolo».
Graziella guardava con occhi vacui il pavimento lastricato, ma ero sicura
che stesse vedendo canali e cupole. Si strinse le dita sul petto, come a voler
sentire dell'altro.
«Ci sono vicoli tortuosi che sboccano all'improvviso su piazzette
segrete, che chiamano campielli. Ci sono angusti canali che si curvano in
modo inaspettato. Non facevamo che perderci».
Girai lo sguardo. Palmira era tutta intenta a imparare un nuovo punto.
«A Genova si sta bene anche da sole», continuai con voce sommessa,
«ma a Venezia... ogni loggiato, ogni ponte, ogni pietra, sembrano sfondi
voluti per passeggiate al chiaro di luna, per incontri clandestini, per mani
calde che si stringono».
Graziella sporse le lunghe dita da sotto la manica nera e me le posò sul
ginocchio. Le gambe di Palmira si fermarono.
«E Firenze?»
Che cosa nascondeva questa urgenza?
«Non c'è chiesa, per quanto modesta, che non contenga capolavori poco
noti, ciascuno dei quali qualunque altra città vanterebbe come la propria
opera più importante». Le feci descrizioni più dettagliate di quanto avessi
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