Page 191 - La passione di Artemisia
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«Creare un'opera tanto complessa e armoniosa in tutte le sue parti deve
aver richiesto un'attenzione e una riflessione costanti».
Immaginavo la mente di mio padre lavorare senza sosta, assorbita da
quell'opera, dai problemi che poneva, incessantemente alla ricerca di
soluzioni: tornando a casa, mangiando, vestendosi, macinando i colori,
seduto in tribunale.
Svegliandosi, ogni mattina, via via che il suo pensiero prendeva forma,
doveva aver avuto davanti agli occhi le pose dei suoi personaggi. Il mio
dramma doveva essere stato solo alla periferia del suo pensiero, persino
quella mattina della sibilla.
«Questo è stato dipinto dal nonno con quell'uomo?» chiese Palmira.
«Sì. Hanno lavorato bene insieme, vero? Il nonno ha dipinto i
personaggi, gli strumenti musicali e il cielo e Agostino ha dipinto le
strutture architettoniche».
Dove Orazio era più debole, nella prospettiva architettonica, Agostino
coglieva gli angoli giusti, i punti di fuga, i chiaroscuri adatti. Agostino aveva
strutturato lo spazio come un palcoscenico per le figure di Orazio, ciascuna
delle quali era viva, tutta presa dal suo fare, o rapita dalla musica.
Orazio conosceva il proprio punto debole e Agostino il suo. Separati, la
loro arte e la loro fama sarebbe stata sempre limitata. Insieme, erano stati
fantastici.
«Che profonda emozione per lui dev'essere stata vedere quest'opera
prendere forma», mormorai.
Ora comprendevo con chiarezza perché mio padre aveva voluto che il
processo si concludesse in fretta. La cosa non aveva avuto nulla a che fare
con me.
Compresi. Ma comprendere non è perdonare.
«Guarda, mamma!» Palmira indicò col dito sopra la mia spalla. «Sei
tu!»
Mi voltai. «No».
«Sì, sei tu. Sei tu. Tu stai sempre così, con le mani sui fianchi».
«Ah, sì?»
«Sì, quando sei arrabbiata con me».
«Potrebbe essere la nonna». Com'ebbi finito di dirlo, notai nella figura
quell'indomabile ciocca di capelli, che s'inanellava libera sulla tempia
destra. Mi aveva creato problemi fin da quando avevo imparato a
pettinarmi da sola.
I capelli di mia madre erano lisci e dritti, legati all'indietro in un nodo,
alla foggia spagnola.
«No, non è la nonna. Sei tu. Guarda quel ventaglio che tiene in mano.
Tu ti lamenti sempre del caldo».
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