Page 192 - La passione di Artemisia
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Sì, eccomi là, che guardo me stessa dall'alto, alla stessa età che ho
adesso, ma dipinta tredici anni prima. Come era riuscito a sapere che sarei
diventata così a questa età? Che strana visione, vedere me stessa come una
matrona disturbata da qualcosa, distratta, che guarda giù dal balcone invece
di guardare i musicisti, incapace di godersi serenamente la musica.
Incapace di rilassarsi. Sì. Come c'era riuscito?
Mi girava la testa e mi faceva male il collo e tuttavia non riuscivo a
smettere di guardare. Avevo posato molte volte per mio padre, ma non
sapevo che avesse usato quegli studi per quest'opera. Dunque, io ero nei
suoi pensieri in quei pomeriggi quando la corte si aggiornava. E inoltre
aveva immaginato gli effetti che avrebbero avuto su di me il processo e gli
anni futuri. Abbracciai Palmira.
«Hai ragione. Sono proprio io», mormorai.
Quella sera, dopo che Palmira si fu addormentata, mi sedetti a
sorseggiare del vino e a chiedermi se mio padre mi pensasse spesso.
Parlava mai di me, ad Agostino o ad altri?
Si sentiva solo a volte? E in quel momento? Pensava mai alla mamma?
Sperai che fosse felice, o per lo meno che dipingesse come lui sapeva fare...
anche con Agostino. Mi affacciai alla finestra per sentirmi addosso il blu
profondo della notte, la stessa aria scura che circondava anche lui a
Genova, o a Parigi, o dovunque si trovasse. Avrei dato chissà che per sapere
che cosa stava pensando in quel preciso istante. Se una persona potesse
conoscere per certo quello che un'altra persona sta pensando o facendo, la
solitudine cesserebbe di esistere a questo mondo.
Pensai a Pietro, e cercai di immaginare che cosa stava facendo in quel
momento. Era con Vanna? Si era dedicato completamente a lei, ora che io
me n'ero andata? Ne era capace? Mi pensava mai?
Avevo fatto anch'io qualcosa di simile a quello che aveva fatto mio
padre? Avevo sacrificato una persona per la mia arte? Traboccavo di
desiderio di chiedere scusa a Pietro. Di chiedere scusa a Palmira. Avevo
fatto del male alle persone, solo per seguire un impulso egoista? Mi
struggevo dal desiderio di chiedere scusa a Bianca, a Cesare, a Renata e di
tornare a vivere come in passato. Ma era impossibile. Troppo spesso
l'amore viene ferito dalla necessità di fare delle scelte.
Avevo sentito dire che una regina inglese si era negata il matrimonio
per sposare l'Inghilterra e io capivo bene a che prezzo.
Sui tetti si levò la luna, brillante come non mai, come appesa a un filo
invisibile, come una di quelle palline di carta che si usano per far giocare il
gatto. Quello che avevo visto al Casino delle Muse mi impediva di dormire.
Presi la carta da lettere, ma non sapevo dove viveva mio padre. E così
scrissi: Mio Illustre Amico Galileo, questa notte il cielo e di una limpidezza
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